lunedì 26 agosto 2013

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venerdì 25 maggio 2012

GLI INVISIBILI - LE NUOVE POLITICHE D'INTEGRAZIONE DELL'UE PER IL POPOLO ROM


Dopo la scorpacciata ideologica della destra e della Lega, l’Italia dovrà fare i conti con i fondi previsti dalla Commissione Europea per l’integrazione sociale, economica, lavorativa e scolastica della popolazione Rom, l’unica minoranza etnica che nel nostro Paese non viene riconosciuta da nessuna legge nazionale.

“L’infiltrazione più antica è quella degli zingari (…) non si tratta però di quei nomadi che in Europa vengono chiamati boemi e tzigani e gitani (…) né quei randagi di origine balcanica che si vedono in giro nel centro e nel settentrione d’Italia (…) che si accampano fuori dalle città e vivono riattando e vendendo minuti arnesi di ferro per usi di cucina (…) gli zingari nostrani detti pure un tempo Gizzi o Egizi denunciano origine levantina e sono indigeni del tutto da secoli. E’ tradizione che fossero certamente accentrati a Jelsi, che sarebbe la loro capitale. Ielsi, nei più vetusti diplomi feudali è detta Gittia e Terra Giptia in quegli del secolo XV. Da Jelsi si diramano poi, man mano, nei paesi tra il Fortore e il Biferno, e questi fiumi oltrepassarono sparpagliandosi nelle adiacenze.”
Giambattista Masciotta “Il Molise dalle origini ai nostri giorni”

Affrontare il tema dell’integrazione delle minoranze in questo Paese ha rappresentato negli ultimi trent’anni un giuoco al massacro. L’Italia che dalla pancia piena e dalla coscienza molle subisce oggi un giro di vite nei numeri dell’occupazione, nei salari e nei diritti, ribadisce spesso con violenza uno stato d’animo distrutto da anni di lotta ideologica contro il diverso, imposto dalla Lega e dalle destra in televisione e nelle aule del Parlamento. Così basta nominare la parola Rom e Zingaro per far riemergere quella specie di dolore o di malessere in ognuno di noi, quasi un fatto ancestrale, che nega la possibilità di poter far interagire e integrare cittadinanze spesso comuni destinate ad incontrarsi e spesso riconoscersi solo nei pressi delle stazioni, nelle strade e nelle piazze di molte città e molto ancor più spesso nelle aule dei tribunali. In questo clima l’Italia dovrà definire una serie di politiche nazionali in favore dei rom, da quando, il 7 aprile 2011, la Commissione Europea ha proposto il quadro europeo per le strategie nazionali di integrazione dei rom, che orienterà le politiche nazionali mobilitando ingenti fondi europei disponibili a sostenere le iniziative di inclusione. Il quadro fa riferimento a quattro aree (accesso all'istruzione, all'occupazione, all'assistenza sanitaria e all'alloggio) e a partire da quest’anno e per ogni anno successivo ogni stato dell'Unione Europea, se vorrà accedere ai fondi europei, dovrà presentare entro il 31 dicembre una convincente strategia nazionale per l'integrazione dei rom.
I NUMERI
Eppure oltre settantamila Rom su centoquarantamila stimati dal Ministero dell’Interno, enti locali e associazioni che operano sul territorio nazionale, risiedono in Italia da circa seicento anni, quando insieme ad albanesi e grecanici fuggirono dall’invasione turca della penisola balcanica e dunque divenuta popolazione endemica e sedentarizzata da tempo. Una presenza costante quella della popolazione romanès che riunita in diverse comunità soprattutto nel centro Italia, è legata da legami di sangue definita rac (rats) che si traduce in “razza” o “stirpe”, intesa come famiglia patriarcale. La rac si identifica, in genere, con le famiglie aventi gli stessi cognomi: De Rosa, Spinelli, Morelli, Guarnieri, Di Rocco, Ciarelli, Spada, Di Silvio, Abbruzzese, Belrlingieri etc. Una comunità che abita da tempo nei quartieri di molti comuni molisani (Campobasso, Termoli, Santa Croce di Magliano, Isernia e Monteroduni), mediamente integrata nelle relative realtà e che ha scambi e rapporti commerciali e famigliari con altre comunità abruzzesi, laziali, pugliesi e campane. Dalle stime fatte i rom, sinti e camminanti presenti in Italia sono complessivamente tra i 130 e i 180mila, pari a circa lo 0,2-0,3% della popolazione italiana, una percentuale che rappresenta una delle più basse d’Europa, se escludiamo il gruppo di Stati dell’Europa orientale e dell’area balcanica (Romania, Bulgaria, Ungheria, Slovacchia, Serbia e Macedonia), in cui vive il 61,5% della popolazione «zingara» d’Europa con percentuali che arrivano al l’11% della popolazione, è la Grecia, tra i paesi dell’Europa occidentale, che registra la maggiore presenza di rom (2% della popolazione), seguita dalla Spagna (1,6%) e dalla Francia (0,5%).
LE POLITICHE NAZIONALI E REGIONALI
A differenza delle non politiche sin ora intraprese dal nostro Paese, oltre alla risoluzione della Commssione Europea, in tempi recenti, si è particolarmente accentuata invece l’attenzione sul tema da parte del Consiglio d’Europa, dell’Organization of Security and Co-operation in Europe (OSCE) nonché delle Nazioni Unite. Un impegno che in Italia piomba come un macigno poiché, a differenza di altre minoranze, infatti, la mancanza di un territorio di riferimento, di una religione e di una lingua comune rendono difficile – se non impossibile – identificare un soggetto quale appartenente al gruppo rom. L’unico strumento per valutare la reale entità della popolazione rom sarebbe l’autoascrizione da parte degli appartenenti alla minoranza, che invece tendono però a mimetizzarsi nelle società di accoglienza per timore di pregiudizi o peggio di discriminazioni. Una presenza comunque che presenta oltre al primo gruppo di fatto endemico, un secondo gruppo costituito da circa 90mila rom balcanici (extracomunitari, due terzi dei quali comunque nati in Italia) arrivati negli anni Novanta in seguito alla disgregazione della ex Jugoslavia e stabilitisi principalmente nel Nord del paese; ed infine un terzo gruppo di rom romeni di migrazione più recente (cittadini europei) concentrato prevalentemente nelle grandi città (Milano, Roma, Napoli, Bologna, Bari, Genova). Si tratta di una minoranza giovane, considerando che il 60% dei rom presenti in Italia è minorenne, ma solo il 2,81% supera i 60 anni, con un’aspettativa di vita inferiore di dieci anni in media a quella degli altri cittadini europei. Dal punto di vista normativo nazionale, dunque le comunità rom, sinta e camminante essendo sprovviste di un proprio territorio non sono tutelate dalla legge n.482/1999 «Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche» che riconosce e tutela dodici minoranze tenendo conto dei criteri etnico, linguistico e storico nonché della localizzazione in un territorio definito. In definitiva il popolo rom in Italia è invisibile e solo le esperienze locali con Comuni e Provincie hanno tentato e tentano una possibile ricucitura soprattutto con quelle comunità che popolano le aree urbane. Di questi quattro criteri, tre appaiono propri anche della minoranza rom, sinta e camminante in quanto: sono presenti in Italia da circa seicento anni (criterio della storicità), hanno un’origine etnica (criterio dell’etnicità), hanno una propria lingua denominata «romanés», riconosciuta dagli organismi internazionali e dai linguisti quale lingua minoritaria (criterio linguistico). Nel testo del disegno di legge era originariamente compresa, tra le minoranze storiche, anche quella zingara, per la quale si prevedevano medesime disposizioni di tutela. L’approfondimento parlamentare fece emergere, però, la difficoltà di applicazione alla popolazione zingara, in quanto gli istituti di tutela previsti da quella legge sono applicabili soltanto a minoranze insediate in territori definiti e non prevedono tutele di carattere personale, tipiche di minoranze prive di una precisa area di appartenenza come rom e sinti. La peculiarità delle minoranze rom, sinte e camminanti, nelle quali si intrecciano più condizioni di vita – stanziali e itineranti – e più condizioni giuridiche – cittadini italiani, stranieri comunitari, stranieri extracomunitari, rifugiati, apolidi – richiede dunque una particolare regolazione giuridica, sebbene ciascuno dei gruppi citati potrebbe avvalersi di norme costituzionali comunitarie e internazionali a propria tutela. Si decise pertanto di stralciare dal testo della l. 482/1999 la menzione della minoranza rom e sinta e di prevedere per essa l’approfondimento in altro specifico provvedimento. L’attuale legislatura conosce quattro disegni di legge di iniziativa parlamentare che intendono occuparsi delle tematiche rom. L’unico dotato di una certa sistematicità è stato presentato il 31 maggio 2010 da diciassette senatori, e propone una legislazione di massima per le minoranze etniche, linguistiche e nomadi; un altro si occupa sommariamente delle caratteristiche dei campi di sosta e transito per popolazioni nomadi, e gli altri due sono dedicati al problema della tutela della minoranza linguistica rom e sinta. Pertanto, allo stato attuale, nel nostro ordinamento non esiste alcuna norma nazionale che preveda e disciplini l’«inclusione» e il «riconoscimento» delle popolazioni rom nel concetto di «minoranza etnico-linguistica». Anche se il riconoscimento e la tutela delle minoranze linguistiche spettano alla sola legge statale, undici regioni del Centro-nord (Lazio, Lombardia, Toscana, Umbria, Veneto, Marche, Emilia-Romagna, Sardegna, Piemonte, Friuli-Venezia Giulia, Liguria) e la provincia autonoma di Trento hanno sopperito a tale lacuna mediante l’approvazione di apposite leggi regionali. La regione Calabria ha inoltre previsto la tutela per la minoranza rom nel nuovo Statuto della regione (art. 2, comma 2, lett. P. Legge regionale statutaria 19 ottobre 2004, n. 25), peraltro non ancora attuato da alcuna legge regionale.
LE CRITICITA’
Da un punto di vista generale, se si registra l’assenza di una specifica legge a carattere nazionale a tutela di questa minoranza, si rileva anche una carenza nel coordinamento a livello nazionale che coinvolga i diversi livelli di governance del problema. Lo stato di emergenza è costato negli ultimi tre anni 75 milioni di euro e, a conti fatti, l'Unione Europea nel quinquennio 2006-2011 ha erogato in favore dell'Italia circa 40 milioni di euro destinati a politiche in favore delle comunità rom e sinte. Tale flusso incontrollato di denaro è stato però convogliato verso la costruzione e la gestione di luoghi di esclusione sociale e di discriminazione quali sono i "campi nomadi" con il risultato di produrre sperpero di denaro pubblico e gravi violazioni dei diritti umani. Le richieste essenziali da parte delle associazioni che raccolgono la comunità romanès e sinta riguardano l’elaborazione di politiche abitative pragmatiche e non discriminatorie, un approccio interculturale e non esclusivo che non si muova più nell'alveo dell'emergenza, l'elaborazione di politiche sociali in favore dei rom basate su dati scientifici ed infine una partecipazione attiva dei rom e di una metodologia basata su monitoraggi efficaci e solidi.
L’IMPEGNO DEL GOVERNO
Una richiesta che ha trovato asilo da parte del Ministro alla Cooperazione Andrea Riccardi (fondatore della Comunità di Sant’Egidio) ''Un mondo che non sa costruire il futuro nell'inclusione è destinato a fallire''. Con queste parole il Ministro è intervenuto nella Sala della Lupa di Montecitorio il 29 marzo scorso al convegno ''Dall'esclusione all'inclusione - Strategia europea e azione italiana sui Rom''. ''Dobbiamo chiederci - ha aggiunto il ministro - se è accettabile che il nostro continente ospiti ancora così vaste aree di ingiustizia, di segregazione, quelle dei Rom, il popolo più discriminato nel nostro continente''. Riccardi ha inoltre sostenuto che ''è ora di intraprendere azioni concrete. E' ora di includere, garantire l'inclusione nella più vasta comunità nazionale, ed assicurare un miglioramento duraturo delle loro condizioni di vita. Spesso - ha detto Riccardi - i loro campi sono luoghi della vergogna del nostro Paese. Trovare soluzione ai problemi del popolo Rom andrà a vantaggio di tutta intera la nostra societa'''. Per Riccardi occorre dunque ''spezzare il circolo vizioso di povertà, risultati scolastici insoddisfacenti, situazione sanitaria e alloggiativa carente, emarginazione sociale''. Quest'opera, ha spiegato il ministro Riccardi - dovrà andare di pari passo con ''il coinvolgimento delle comunità rom nei processi decisionali nazionali e locali: di tratta di responsabilizzare i Rom, anche attraverso una sensibilizzazione circa i loro diritti e doveri, in ordine al loro stesso sviluppo sociale. Che cosa diremo - ha chiesto Riccardi, concludendo il suo intervento - alle generazioni presenti e future, se non riusciremo ad integrare poche migliaia di Rom, di cui la metà minori?''. CONCLUSIONI
E’ inutile sottolineare che i buoni propositi del Ministro sono stati subito subissati dagli insulti di quotidiani come Il Giornale e Libero che definendo il ministro “cattocomunista”, hanno nuovamente acceso il fuoco dell’odio razziale, chiedendo in diversi articoli le dimissioni dello stesso Riccardi. Per il popolo romanès, dunque, il genocidio continua: era il 1483 quando la Serenissima Repubblica di Venezia emana il primo bando italiano contro i rom, duecento anni dopo il Ducato di Milano autorizzava ogni cittadino “d’ammazzarli impune e levar loro ogni sorta di robbe, bestiami e denari che gli trovasse…” , nella seconda guerra mondiale i nazisti ne trucidarono oltre un milione, senza dimenticare gli eccidi compiuti durante la guerra civile in Jugoslavia. La Shoah degli zingari si chiama Porrajimos (forma sostantiva del verbo porav = divorare). Dopo la guerra le autorità tedesche negarono i risarcimenti elargiti alle vittime dell’Olocausto giustificandosi che i Rom e i Sinti furono perseguitati non per motivi razziali ma in quanto asociali e criminali. Il mondo muta velocemente, le società si evolvono ma i sentimenti di avversione verso i romanès purtroppo restano.
MAURIZIO ORIUNNO
copyright Il Bene Comune maggio 2012

lunedì 26 marzo 2012

LE MOTIVAZIONI DELLA BOCCIATURA DELLE LEGGE FINANZIARIA DEL MOLISE DA PARTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI




La legge della Regione Molise 26 gennaio 2012, n. 2, "Legge Finanziaria Regionale 2012", presenta profili di illegittimità costituzionale relativamente all'art. 3, commi 1 e 2, all'art. 18, commi 1 e 2, all'art. 67, all'art. 68, comma 1, lett. a), all'art. 69 e all'art. 79. 1) l'art. 18, commi 1 e 2, consente l'utilizzo del mezzo proprio e relativo rimborso spese al personale con qualifica dirigenziale titolare di incarichi apicali, ai responsabili di programmi collegati all'utilizzo di fondi comunitari e nazionali, ai funzionari e dirigenti incaricati dell'esercizio di funzioni ispettive o di controllo e di patrocinio legale in occasione delle trasferte di servizio, in caso di impossibilità di utilizzo di idoneo mezzo dell'Amministrazione o di altro mezzo pubblico di trasporto. Tale disposizione regionale contrasta con l'art. 6, comma 12, del decreto legge n. 78/2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122/2010, concernente la riduzione dei costi degli apparati amministrativi, in base al quale per il personale contrattualizzato di cui al d.lgs. n. 165/2001, compreso il personale di cui trattasi, non trovano applicazione le norme relative al trattamento economico di missione contenute nell'art. 15 della legge n. 836/73 (l'autorizzazione all'uso del mezzo proprio per il personale che svolge funzioni ispettive) e nell' art. 8 della legge n. 417/78 (determinazione dell'indennità chilometrica). Pertanto, la norma regionale, nella parte in cui deroga ai principi generali del citato d.lgs. n. 165/2001 determina la violazione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, nonché la violazione dell'articolo 117, comma 2, lettera l) della Costituzione, che riserva alla competenza esclusiva dello Stato la materia dell'ordinamento civile e, quindi, i rapporti di diritto privato regolabili dal codice civile. Inoltre, la norma regionale de quo, nella parte in cui deroga ai principi di stabilizzazione della finanza pubblica determina la violazione dell'art. 117, comma 3, della Costituzione in materia di coordinamento della finanza pubblica. 2) La disposizione contenuta nell'articolo 79 prevede che la gestione del servizio idrico integrato sia affidata all'Azienda speciale regionale Molise Acque, ente di diritto pubblico, la cui natura giuridica non può essere modificata. In proposito occorre premettere che, secondo la Corte costituzionale (sent. n. 26/2011) è <>. Ancora, con sentenza n. 187 del 15.6.2011, la Corte ha ribadito che «il legislatore statale, in coerenza con la [?] normativa comunitaria e sull'incontestabile presupposto che il servizio idrico integrato si inserisce in uno specifico e peculiare mercato (come riconosciuto da questa Corte con la sentenza n. 246 del 2009), ha correttamente qualificato tale servizio come di rilevanza economica, conseguentemente escludendo ogni potere degli enti infrastatuali di pervenire ad una diversa qualificazione» (sentenza n. 325 del 2010). Ciò premesso la richiamata norma regionale risulta censurabile in quanto affida ope legis, il servizio idrico integrato all'Azienda speciale regionale Molise Acque, ente di diritto pubblico, che, pertanto, si configura come ente strumentale della Regione finalizzato alla gestione del servizio idrico stesso. Si ricorda che , ai sensi dell'articolo 150, comma 2, D.lgs. n. 152/2006 "L'Autorità d'ambito aggiudica la gestione del servizio idrico integrato mediante gara disciplinata dai princìpi e dalle disposizioni comunitarie, in conformità ai criteri di cui all'articolo 113, comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 257, secondo modalità e termini stabiliti con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio nel rispetto delle competenze regionali in materia". La norma regionale in esame , lungi dal limitarsi ad attribuire ad altro soggetto istituzionale le funzioni già esercitate dalle Autorità d'ambito territoriale, ivi inclusa quella, per quanto qui interessa, di affidamento della gestione del servizio idrico integrato, ha, nel caso di specie, affidato in via diretta la gestione del servizio ad un ente strumentale della Regione. Pertanto, sottraendo al soggetto subentrato all'AATO il potere di scelta delle modalità di <>, viola la competenza legislativa esclusiva statale, alla quale ? per consolidata giurisprudenza della Corte (da ultimo, v. sent. n. 128 del 2011) ? va ricondotta la disciplina delle Autorità d'ambito territoriale ( e dei nuovi soggetti che dette autorità andranno a sostituire) in quanto rientrante nelle materie della tutela della concorrenza e della tutela dell'ambiente. La possibilità di scegliere i moduli organizzativi più adeguati a garantire l'efficienza del servizio idrico integrato, conferita dal legislatore statale al legislatore regionale, non può intendersi come comprensiva anche del potere di prevedere l'affidamento, direttamente con legge regionale, della gestione del servizio né risolversi nell'eliminazione dal sistema giuridico della funzione amministrativa di affidamento della gestione del servizio idrico integrato, che non viene più esercitata da alcuno. Con l'affidamento in via diretta della gestione di detto servizio all'Agenzia speciale regionale Molise, in violazione della normativa statale, la citata Agenzia gestisce il servizio non in forza di un titolo concessorio, cioè un atto amministrativo, bensì ex lege, e quindi, fra l'altro, senza limiti di tempo. Secondo la normativa comunitaria, inoltre, il servizio idrico, costituisce "un servizio di interesse economico generale" (Libro verde sui servizi di interesse generale, Bruxelles, 21.05.2003, COM (2003), 270) e come tale è soggetto alla disciplina della concorrenza (v. art. 86, ex-art. 90, Tratt. CE). Ne consegue, pertanto, che l'affidamento della gestione del servizio idrico con legge regionale ? risolvendosi nella negazione della regola della concorrenza ? concreta un caso di esercizio della potestà legislativa regionale in una materia, appunto, quella della concorrenza, riservata alla competenza esclusiva statale. L'affidamento ex lege della gestione di un servizio di interesse economico generale disposto con legge regionale, oltre a violare l'art. 117, comma prima, della Costituzione che impone anche al legislatore regionale il rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario, viola altresì l'art. 117, comma secondo, lett. e), della Costituzione che riserva allo Stato la materia della tutela della concorrenza e l'art.117, comma secondo, lettera s), della Costituzione che riserva allo Stato la competenza in materia ditutela dell'ambiente e dell'ecosistema. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 62/2012, accogliendo un ricorso del Governo, ha dichiarato incostituzionale un'analoga norma della Regione Puglia contenuta nella l.r. n. 11/2011. Inoltre sono illegittime altre disposizioni in materia sanitaria E' opportuno premettere che la Regione Molise, per la quale è stata verificata una situazione di disavanzi nel settore sanitario tale da generare uno squilibrio economico-finanziario che compromette l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, ha stipulato il 30 marzo 2007 un accordo con i Ministri della Salute e dell'Economia e delle Finanze, comprensivo del Piano di rientro dal disavanzo sanitario, che prevede una serie di interventi da attivare nell'arco del triennio 2007-2009 finalizzati a ristabilire l'equilibrio economico e finanziario della Regione nel rispetto dei livelli assistenziali di assistenza, ai sensi dell'art. 1 comma 180, della legge 311 del 2004 ( legge finanziaria 2005). La Regione Molise, non avendo realizzato gli obiettivi previsti dal Piano di rientro nei tempi e nelle dimensioni di cui all'art. 1, comma 180, della legge n. 311/04, nonché dell'intesa Stato ? Regioni del 23 marzo 2005, e dai successivi interventi legislativi in materia, è stata commissariata ai sensi dell'art. 4 del decreto legge 1 ottobre 2007, n. 159, in attuazione dell'art. 120 della Costituzione, nei modi e nei termini di cui all'art. 8, comma 1, della legge n. 131/2003. Nella riunione del 24 luglio 2009, infatti, il Consiglio dei Ministri ha deliberato la nomina di un Commissario ad acta per la realizzazione del vigente piano di rientro dai disavanzi nel settore sanitario della Regione Molise, individuandolo nella persona del Presidente della Regione pro tempore. Nella successiva riunione del 20 gennaio 2012 il Consiglio dei Ministri ha confermato la nomina del Presidente della Regione pro tempore quale Commissario ad acta per l'attuazione del Piano di rientro e dei successivi Programmi operativi, conferendo al medesimo l'incarico di provvedere a realizzare determinati interventi prioritari. Successivamente, ai sensi dell'art. 2, comma 88, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, il Commissario ad acta, ha adottato il Programma operativo 2010 e, con il decreto n. 80 del 26 settembre 2011, i Programmi operativi 2011-2012 con i quali viene data prosecuzione al Piano di Rientro 2007-2009. La Corte Costituzionale ha già avuto modo di pronunciarsi in materia di piani di rientro dal disavanzo sanitario e di gestione commissariale degli stessi. In particolare con la sentenza n. 100/2010 nel giudizio di legittimità costituzionale della legge della Regione Campania 28 novembre 2008 n. 16 recante "Misure straordinarie di razionalizzazione e riqualificazione del sistema sanitario regionale per il rientro dal disavanzo", ha affermato che una norma statale (vedasi l'allora vigente articolo 1, comma 796, lettera b) della legge n. 296 del 2006) ha reso vincolanti, per le Regioni che li abbiano sottoscritti, gli interventi individuati negli atti di programmazione "necessari per il perseguimento dell'equilibrio economico, oggetto degli accordi di cui all'articolo 1, comma 180, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, ivi compreso l'Accordo intercorso tra lo Stato e la Regione Campania". La Corte ha affermato, inoltre, che la suddetta norma statale che assegna a tale Accordo carattere vincolante, per le parti tra le quali è intervenuto, può essere qualificata come espressione di un principio fondamentale diretto al contenimento della spesa pubblica sanitaria e, dunque, espressione di un correlato principio di coordinamento della finanza pubblica. La Corte Costituzionale inoltre, con la sentenza n. 78/2011, ha avuto modo di "rammentare - come già sottolineato in passato con la sentenza n. 193 del 2007 - che l'operato del Commissario ad acta, incaricato dell'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario previamente concordato tra lo Stato e la Regione interessata, sopraggiunge all'esito di una persistente inerzia degli organi regionali, essendosi questi ultimi sottratti - malgrado il carattere vincolante dell'accordo concluso dal Presidente della Regione - ad un'attività che pure è imposta dalle esigenze della finanza pubblica ((articolo 1, comma 796, lettera b), della legge 27 dicembre 2006, n 296, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge finanziaria 2007»). E', dunque, proprio tale dato - in uno con la constatazione che l'esercizio del potere sostitutivo è, nella specie, imposto dalla necessità di assicurare la tutela dell'unità economica della Repubblica, oltre che dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti un diritto fondamentale qual'è quello alla salute (articolo 32 Cost.) - a legittimare la conclusione secondo cui le funzioni amministrative del commissario ad acta, ovviamente fino all'esaurimento dei suoi compiti di attuazione del piano di rientro, devono essere poste al riparo da ogni interferenza degli Organi regionali". Pertanto, secondo la Consulta, anche qualora non sia ravvisabile un diretto contrasto con i poteri del commissario, ma ricorra comunque una situazione di interferenza sulle funzioni commissariali, tale situazione è idonea ad integrare la violazione dell'art. 120, secondo comma, Cost. Ciò premesso, la legge regionale in esame presenta i seguenti profili di illegittimità costituzionale: 3) L'art. 3, della legge in esame, dopo aver premesso, al comma 1, che la Regione e gli enti di cui alle allegate tabelle Al e A2, tra i quali è ricompresa l'Azienda sanitaria regionale del Molise (ASREM), costituiscono il Sistema Regione Molise, istituito ai sensi dell'articolo 7 della legge regionale 20 agosto 2010, n. 16 (Misure di razionalizzazione della spesa regionale), aggiunge, al comma 2, che "La Giunta regionale differenzia, in relazione alla tipologia degli enti, le forme della loro partecipazione e del loro contributo al Sistema, il potere d'indirizzo della Regione, nonché i rapporti finanziari, i poteri e le modalità di controllo, anche ispettivo, e di vigilanza (...)". Tale disposizione regionale, che riconosce alla Giunta regionale la potestà di impartire direttive alla citata l'Azienda sanitaria regionale del Molise (ASREM), non tiene conto del fatto che, essendo la regione commissariata per l'attuazione del Piano di rientro, è compito del Commissario impartire le direttive alla citata azienda sanitaria, secondo quanto emerge dallo stesso mandato commissariale di cui alla delibera del Consiglio dei Ministri del 20 gennaio 2012. La disposizione regionale in esame in particolare contrasta con il par. A, n. 4, del menzionato mandato commissariale che conferisce al commissario ad acta l'incarico di provvedere a realizzare il "completamento dell'assetto territoriale dell'ASREM, con il superamento di qualsiasi forma di articolazione gestionale basata sul sistema delle disciolte zone territoriali: adozione del nuovo atto aziendale, secondo i rilievi ministeriali, in coerenza con Programma Operativo 2011-2012 ed il nuovo Piano Sanitario regionale 2011-2013 da adottarsi, fra l'altro, con la previsione della definizione di un centro unico di responsabilità delle principali funzioni, quali la gestione contabile, la gestione del personale e gli acquisti".. Pertanto la disposizione in esame, attribuendo alla Giunta regionale compiti che interferiscono con le funzioni espletate dal commissario ad acta nominato dal Governo, viola l'art. 120, secondo comma, Cost. 4) L'art. 67, commi 1 e 2, della legge in esame, nel modificare il comma 5 dell'articolo 3 della legge regionale 1 aprile 2005, n. 9 (Riordino del Servizio sanitario regionale), dopo aver premesso che i distretti dell'unità sanitaria locale costituiscono il livello in cui si realizza la gestione integrata tra servizi sanitari e socio-assistenziali, prevede che entro 60 giorni dall'entrata in vigore della legge la Giunta regionale presenti una proposta di riordino e rideterminazione di detti distretti. La disposizione regionale in esame, che consente alla Giunta regionale di intervenire in ordine al riordino e alla rideterminazione dei distretti dell'unità sanitaria locale, non tiene conto del fatto che, essendo la regione commissariata per l'attuazione del Piano di rientro, è compito del Commissario la riorganizzazione sanitaria, secondo quanto emerge dallo stesso mandato commissariale di cui alla delibera del Consiglio dei Ministri del 20 gennaio 2012. La disposizione regionale in esame in particolare contrasta con il par. A, n. 3, del menzionato mandato commissariale che conferisce al commissario ad acta l'incarico di provvedere a realizzare il " riassetto della rete ospedaliera e territoriale". Pertanto la disposizione in esame, attribuendo alla Giunta regionale compiti che interferiscono con le funzioni espletate dal commissario ad acta nominato dal Governo, viola l'art. 120 Cost. 5) L'art. 68 apporta modifiche all'art. 31 legge regionale n. 8/2010 (Disciplina sull'assetto programmatorio, contabile, gestionale e di controllo dell'Azienda sanitaria regionale del Molise - Abrogazione della legge regionale 14 maggio 1997, n. 12). In particolare il comma 1, lettera a), dell'art. 68 dispone la soppressione della lettera l) dal comma 2 del suddetto art. 31, eliminando in tal modo dal novero degli atti del Direttore generale dell'Azienda sanitaria regionale che sono sottoposti, ai sensi del menzionato comma 2, al controllo preventivo della Giunta regionale "ogni altro atto attribuito alla esclusiva competenza del direttore generale da leggi e regolamenti". Al riguardo si rappresenta che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 78 del 7 marzo 2011, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'intero comma 2 dell'art. 31 della legge regionale n. 8/2010 (che attribuiva alla Giunta regionale il controllo su tutti gli atti del Direttore Generale ASREM), nella parte in cui non escludeva dall'ambito della sua operatività le funzioni e le attività del Commissario ad acta nominato dal Governo per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo regionale in materia sanitaria. Pertanto, l'art. 68, comma 1, lettera a), della legge in esame, modificando parzialmente il suddetto comma 2, dell'art. 31 della legge regionale n. 8/2010 presuppone la vigenza di norme che sono già state dichiarate costituzionalmente illegittime. In particolare la disposizione regionale in esame, limitandosi ad eliminare dal controllo della Giunta solo alcuni atti del Direttore generale (di cui alla lett. l), del comma 2 dell'art. 31), e lasciando inalterate le altre disposizioni di tale comma, giudicate incostituzionali, riguardanti tutti gli altri atti del direttore generale sottoposti al controllo della Giunta, non elimina l'incostituzionalità di dette disposizioni, ma anzi ne stabilizza gli effetti, confermando in tal modo la loro illegittimità costituzionale e violando i principi costituzionali già invocati nella relazione del Ministro per i rapporti con le regioni allegata alla delibera di impugnativa dinanzi alla Corte Costituzionale del Consiglio dei Ministri del 23 aprile 2010. Tale disposizione regionale, pertanto, che ribadisce il contenuto delle disposizioni già impugnate, ponendo in capo alla Giunta regionale il controllo sugli atti del Direttore Generale ASREM, determina una situazione di interferenza sulle funzioni commissariali, idonea ad integrare la violazione dell'art. 120, secondo comma, Cost. La disposizione in esame inoltre, intervenendo su di una disposizione giudicata incostituzionale, viola l'art. 136, comma 1, Cost., secondo il quale la norma dichiarata costituzionalmente illegittima, cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione. 6) L'art. 69 della legge regionale in esame nel modificare il comma 5 dell'art. 7 della legge 24 giugno 2008 n. 18, che disciplina la materia dell'autorizzazione e dell'accreditamento istituzionale, dispone che "Per le strutture che richiedono l'accreditamento, la verifica della congruità con il fabbisogno di assistenza secondo le funzioni sanitarie e socio-sanitarie individuate dalla programmazione sanitaria regionale è effettuata dal C.R.A.S.S. o dall'organo competente istituito da apposito provvedimento di Giunta regionale, entro novanta giorni dalla presentazione della domanda". La disposizione regionale in esame, che disciplina la materia dell'accreditamento istituzionale, non tiene conto del fatto che, essendo la regione commissariata per l'attuazione del Piano di rientro, tale materia rientra tra i compiti del Commissario ad acta, secondo quanto emerge dallo stesso mandato commissariale di cui alla delibera del Consiglio dei Ministri del 20 gennaio 2012. La disposizione regionale in esame in particolare contrasta con il par. A, n. 5, e 7 e par. C, del menzionato mandato commissariale che conferisce al commissario ad acta specifici compiti in materia di accreditamento istituzionale. Pertanto la disposizione in esame, determina una situazione di interferenza sulle funzioni commissariali, idonea ad integrare la violazione dell'art. 120, secondo comma, Cost. Per i motivi esposti le disposizioni indicate debbono essere impugnate dinanzi alla Corte Costituzionale ai sensi dell'art. 127 Cost.