venerdì 23 marzo 2007

BENITO FARAONE, IL CANTASTORIE POPOLARE


Benito Faraone, il cantastorie popolare
di ANTONIO IAROCCI
da Altromolise.it

Tre anni fa si è spento il noto artista campobassano, interprete di canzoni che per anni hanno accompagnato e fatto da sottofondo allo scorrere lento della vita delle città e dei paesi del Molise.
Chi era Benito Faraone? Per tentare di rispondere è essenziale tornare un bel po’ indietro nel tempo. A un tempo in cui Campobasso era un “paesone” chiuso all’interno del Molise. Regione (all’epoca “Abruzzi e Molise”) che nel secondo dopoguerra ha vissuto a effetto ritardato la ricostruzione delle identità individuali e comunitarie, ricostruzione materiale e morale, delle città e dei paesi in una con quella dei loro cittadini. Realtà che, rispetto ai circuiti di maggiore influenza, si avviarono in tempi asincroni e a passi malcerti in direzione della fase di relativo benessere, di appena percepibile agio. Anni di lenta transizione da una dimensione rurale a quella protoindustriale, e poi via via moderna, hi-tech che costella l’attualità. Anni in cui Campobasso aveva sì le dimensioni di una minuscola cittadina di provincia ma, in realtà, era un vero e proprio paese dove ci si conosceva quasi tutti. Benito Faraone, nato a Campobasso nel 1936, cominciò presto a nutrire la passione per il canto al punto che già nel 1970, e di seguito per cinque anni, partecipò a “Cantatutto Molisano”, una trasmissione della radio. Poi, nel 1975 pubblicò il long playing “Folklore Molisano”. Tuttavia, la piena popolarità la raggiunse con il disco “Molise terra cara”, del 1984. Faraone interpretava, con le sue note e la sua voce pacata e attraente, i testi scritti da altri maestri (tra i quali spiccava Tonino Armagno). Si trattava di canzoni nelle quali i parolieri trasfondevano i sentimenti di amore; le traversie degli amanti per i loro incontri furtivi, consapevoli delle rigidità delle convenzioni dell’epoca; le tenere promesse che suggellavano l’inossidabile patto d’amore; gli ostacoli frapposti dai genitori (di solito della ragazza) desiderosi di trovare “un buon partito”. E poi la “chiacchiera”, il pettegolezzo, il venticello calunnioso che lambiva le forme procaci di ragazze forse troppo precoci per i costumi allora correnti o, spesso, semplicemente oggetto di un desiderio inappagabile. E ancora, la burla, la canzonatura delle comitive goderecce e allergiche alla fatica dei campi; l’inno alla vita, il vitalismo la spensieratezza, l’allegria, le tavolate, le serate in compagnia in giro per le contrade, le masserie, le osterie (che allora erano, più espressivamente, “cantine”). E i paesi. Agglomerati modestissimi interclusi dall’esasperante, ostica viabilità coeva. Comunità raggiungibili con mezzi di fortuna, su strade polverose o dissestate. Aggregati di un’umanità eterogenea: materiale eccellente, e oramai irreperibile, per alimentare resoconti di viaggi picareschi. E il senso della morte con il gelo del suo alito di dolore, la caducità della vita e il mistero dei suoi riti imperscrutabili. Insomma, canzoni che repertavano storie di quella peculiare quotidianità, raccontavano episodi spiccioli e drammi esistenziali, narravano esibizioni giullaresche, almanaccavano parodie di personaggi realmente esistenti e spassose memorie. Negli ultimi anni Faraone strinse un fecondo sodalizio con lo scrittore Giose Rimanelli (autore tra l’altro del libro “Tiro al piccione”, molto apprezzato da Francesco Jovine tradotto in film da Giuliano Montaldo nel 1961), che culminò con la pubblicazione di “Moliseide”, raccolta di ballate e canzoni in dialetto molisano. Insomma, Benito Faraone nelle sue canzoni ha rappresentato magistralmente l’anima popolaresca con le sue contraddizioni e i suoi impeti, la sua grossolanità e la sua innocenza, la sua ignoranza e la sua limpidezza. Ancora oggi le sue canzoni appaiono vivide e capaci di comunicare emozioni autentiche. Emozioni proprie di giornate fatte di cinghie strette, scarpe consunte e calore umano. Liriche sussurrate senza la zavorra di rime banalizzanti, volgarità gratuite, approcci strumentali all’attualità e urla sgraziate per coprire il vuoto dei contenuti. Chi appartiene ad altre generazioni inevitabilmente prova un sussulto di malinconia e di nostalgia per il ricordo, ingiallito dal tempo, di fatti recitati con abilità affabulatoria e resi cavalli di battaglia canori dalle frequenti richieste: Magma di sentimenti e sensazioni che riemerge assieme alla tristezza perché questo patrimonio di un’intera comunità possa andare irrimediabilmente perduto. Benito Faraone se ne è andato tre anni fa. Con discrezione, com’era nel suo stile.

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