venerdì 25 maggio 2012

GLI INVISIBILI - LE NUOVE POLITICHE D'INTEGRAZIONE DELL'UE PER IL POPOLO ROM


Dopo la scorpacciata ideologica della destra e della Lega, l’Italia dovrà fare i conti con i fondi previsti dalla Commissione Europea per l’integrazione sociale, economica, lavorativa e scolastica della popolazione Rom, l’unica minoranza etnica che nel nostro Paese non viene riconosciuta da nessuna legge nazionale.

“L’infiltrazione più antica è quella degli zingari (…) non si tratta però di quei nomadi che in Europa vengono chiamati boemi e tzigani e gitani (…) né quei randagi di origine balcanica che si vedono in giro nel centro e nel settentrione d’Italia (…) che si accampano fuori dalle città e vivono riattando e vendendo minuti arnesi di ferro per usi di cucina (…) gli zingari nostrani detti pure un tempo Gizzi o Egizi denunciano origine levantina e sono indigeni del tutto da secoli. E’ tradizione che fossero certamente accentrati a Jelsi, che sarebbe la loro capitale. Ielsi, nei più vetusti diplomi feudali è detta Gittia e Terra Giptia in quegli del secolo XV. Da Jelsi si diramano poi, man mano, nei paesi tra il Fortore e il Biferno, e questi fiumi oltrepassarono sparpagliandosi nelle adiacenze.”
Giambattista Masciotta “Il Molise dalle origini ai nostri giorni”

Affrontare il tema dell’integrazione delle minoranze in questo Paese ha rappresentato negli ultimi trent’anni un giuoco al massacro. L’Italia che dalla pancia piena e dalla coscienza molle subisce oggi un giro di vite nei numeri dell’occupazione, nei salari e nei diritti, ribadisce spesso con violenza uno stato d’animo distrutto da anni di lotta ideologica contro il diverso, imposto dalla Lega e dalle destra in televisione e nelle aule del Parlamento. Così basta nominare la parola Rom e Zingaro per far riemergere quella specie di dolore o di malessere in ognuno di noi, quasi un fatto ancestrale, che nega la possibilità di poter far interagire e integrare cittadinanze spesso comuni destinate ad incontrarsi e spesso riconoscersi solo nei pressi delle stazioni, nelle strade e nelle piazze di molte città e molto ancor più spesso nelle aule dei tribunali. In questo clima l’Italia dovrà definire una serie di politiche nazionali in favore dei rom, da quando, il 7 aprile 2011, la Commissione Europea ha proposto il quadro europeo per le strategie nazionali di integrazione dei rom, che orienterà le politiche nazionali mobilitando ingenti fondi europei disponibili a sostenere le iniziative di inclusione. Il quadro fa riferimento a quattro aree (accesso all'istruzione, all'occupazione, all'assistenza sanitaria e all'alloggio) e a partire da quest’anno e per ogni anno successivo ogni stato dell'Unione Europea, se vorrà accedere ai fondi europei, dovrà presentare entro il 31 dicembre una convincente strategia nazionale per l'integrazione dei rom.
I NUMERI
Eppure oltre settantamila Rom su centoquarantamila stimati dal Ministero dell’Interno, enti locali e associazioni che operano sul territorio nazionale, risiedono in Italia da circa seicento anni, quando insieme ad albanesi e grecanici fuggirono dall’invasione turca della penisola balcanica e dunque divenuta popolazione endemica e sedentarizzata da tempo. Una presenza costante quella della popolazione romanès che riunita in diverse comunità soprattutto nel centro Italia, è legata da legami di sangue definita rac (rats) che si traduce in “razza” o “stirpe”, intesa come famiglia patriarcale. La rac si identifica, in genere, con le famiglie aventi gli stessi cognomi: De Rosa, Spinelli, Morelli, Guarnieri, Di Rocco, Ciarelli, Spada, Di Silvio, Abbruzzese, Belrlingieri etc. Una comunità che abita da tempo nei quartieri di molti comuni molisani (Campobasso, Termoli, Santa Croce di Magliano, Isernia e Monteroduni), mediamente integrata nelle relative realtà e che ha scambi e rapporti commerciali e famigliari con altre comunità abruzzesi, laziali, pugliesi e campane. Dalle stime fatte i rom, sinti e camminanti presenti in Italia sono complessivamente tra i 130 e i 180mila, pari a circa lo 0,2-0,3% della popolazione italiana, una percentuale che rappresenta una delle più basse d’Europa, se escludiamo il gruppo di Stati dell’Europa orientale e dell’area balcanica (Romania, Bulgaria, Ungheria, Slovacchia, Serbia e Macedonia), in cui vive il 61,5% della popolazione «zingara» d’Europa con percentuali che arrivano al l’11% della popolazione, è la Grecia, tra i paesi dell’Europa occidentale, che registra la maggiore presenza di rom (2% della popolazione), seguita dalla Spagna (1,6%) e dalla Francia (0,5%).
LE POLITICHE NAZIONALI E REGIONALI
A differenza delle non politiche sin ora intraprese dal nostro Paese, oltre alla risoluzione della Commssione Europea, in tempi recenti, si è particolarmente accentuata invece l’attenzione sul tema da parte del Consiglio d’Europa, dell’Organization of Security and Co-operation in Europe (OSCE) nonché delle Nazioni Unite. Un impegno che in Italia piomba come un macigno poiché, a differenza di altre minoranze, infatti, la mancanza di un territorio di riferimento, di una religione e di una lingua comune rendono difficile – se non impossibile – identificare un soggetto quale appartenente al gruppo rom. L’unico strumento per valutare la reale entità della popolazione rom sarebbe l’autoascrizione da parte degli appartenenti alla minoranza, che invece tendono però a mimetizzarsi nelle società di accoglienza per timore di pregiudizi o peggio di discriminazioni. Una presenza comunque che presenta oltre al primo gruppo di fatto endemico, un secondo gruppo costituito da circa 90mila rom balcanici (extracomunitari, due terzi dei quali comunque nati in Italia) arrivati negli anni Novanta in seguito alla disgregazione della ex Jugoslavia e stabilitisi principalmente nel Nord del paese; ed infine un terzo gruppo di rom romeni di migrazione più recente (cittadini europei) concentrato prevalentemente nelle grandi città (Milano, Roma, Napoli, Bologna, Bari, Genova). Si tratta di una minoranza giovane, considerando che il 60% dei rom presenti in Italia è minorenne, ma solo il 2,81% supera i 60 anni, con un’aspettativa di vita inferiore di dieci anni in media a quella degli altri cittadini europei. Dal punto di vista normativo nazionale, dunque le comunità rom, sinta e camminante essendo sprovviste di un proprio territorio non sono tutelate dalla legge n.482/1999 «Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche» che riconosce e tutela dodici minoranze tenendo conto dei criteri etnico, linguistico e storico nonché della localizzazione in un territorio definito. In definitiva il popolo rom in Italia è invisibile e solo le esperienze locali con Comuni e Provincie hanno tentato e tentano una possibile ricucitura soprattutto con quelle comunità che popolano le aree urbane. Di questi quattro criteri, tre appaiono propri anche della minoranza rom, sinta e camminante in quanto: sono presenti in Italia da circa seicento anni (criterio della storicità), hanno un’origine etnica (criterio dell’etnicità), hanno una propria lingua denominata «romanés», riconosciuta dagli organismi internazionali e dai linguisti quale lingua minoritaria (criterio linguistico). Nel testo del disegno di legge era originariamente compresa, tra le minoranze storiche, anche quella zingara, per la quale si prevedevano medesime disposizioni di tutela. L’approfondimento parlamentare fece emergere, però, la difficoltà di applicazione alla popolazione zingara, in quanto gli istituti di tutela previsti da quella legge sono applicabili soltanto a minoranze insediate in territori definiti e non prevedono tutele di carattere personale, tipiche di minoranze prive di una precisa area di appartenenza come rom e sinti. La peculiarità delle minoranze rom, sinte e camminanti, nelle quali si intrecciano più condizioni di vita – stanziali e itineranti – e più condizioni giuridiche – cittadini italiani, stranieri comunitari, stranieri extracomunitari, rifugiati, apolidi – richiede dunque una particolare regolazione giuridica, sebbene ciascuno dei gruppi citati potrebbe avvalersi di norme costituzionali comunitarie e internazionali a propria tutela. Si decise pertanto di stralciare dal testo della l. 482/1999 la menzione della minoranza rom e sinta e di prevedere per essa l’approfondimento in altro specifico provvedimento. L’attuale legislatura conosce quattro disegni di legge di iniziativa parlamentare che intendono occuparsi delle tematiche rom. L’unico dotato di una certa sistematicità è stato presentato il 31 maggio 2010 da diciassette senatori, e propone una legislazione di massima per le minoranze etniche, linguistiche e nomadi; un altro si occupa sommariamente delle caratteristiche dei campi di sosta e transito per popolazioni nomadi, e gli altri due sono dedicati al problema della tutela della minoranza linguistica rom e sinta. Pertanto, allo stato attuale, nel nostro ordinamento non esiste alcuna norma nazionale che preveda e disciplini l’«inclusione» e il «riconoscimento» delle popolazioni rom nel concetto di «minoranza etnico-linguistica». Anche se il riconoscimento e la tutela delle minoranze linguistiche spettano alla sola legge statale, undici regioni del Centro-nord (Lazio, Lombardia, Toscana, Umbria, Veneto, Marche, Emilia-Romagna, Sardegna, Piemonte, Friuli-Venezia Giulia, Liguria) e la provincia autonoma di Trento hanno sopperito a tale lacuna mediante l’approvazione di apposite leggi regionali. La regione Calabria ha inoltre previsto la tutela per la minoranza rom nel nuovo Statuto della regione (art. 2, comma 2, lett. P. Legge regionale statutaria 19 ottobre 2004, n. 25), peraltro non ancora attuato da alcuna legge regionale.
LE CRITICITA’
Da un punto di vista generale, se si registra l’assenza di una specifica legge a carattere nazionale a tutela di questa minoranza, si rileva anche una carenza nel coordinamento a livello nazionale che coinvolga i diversi livelli di governance del problema. Lo stato di emergenza è costato negli ultimi tre anni 75 milioni di euro e, a conti fatti, l'Unione Europea nel quinquennio 2006-2011 ha erogato in favore dell'Italia circa 40 milioni di euro destinati a politiche in favore delle comunità rom e sinte. Tale flusso incontrollato di denaro è stato però convogliato verso la costruzione e la gestione di luoghi di esclusione sociale e di discriminazione quali sono i "campi nomadi" con il risultato di produrre sperpero di denaro pubblico e gravi violazioni dei diritti umani. Le richieste essenziali da parte delle associazioni che raccolgono la comunità romanès e sinta riguardano l’elaborazione di politiche abitative pragmatiche e non discriminatorie, un approccio interculturale e non esclusivo che non si muova più nell'alveo dell'emergenza, l'elaborazione di politiche sociali in favore dei rom basate su dati scientifici ed infine una partecipazione attiva dei rom e di una metodologia basata su monitoraggi efficaci e solidi.
L’IMPEGNO DEL GOVERNO
Una richiesta che ha trovato asilo da parte del Ministro alla Cooperazione Andrea Riccardi (fondatore della Comunità di Sant’Egidio) ''Un mondo che non sa costruire il futuro nell'inclusione è destinato a fallire''. Con queste parole il Ministro è intervenuto nella Sala della Lupa di Montecitorio il 29 marzo scorso al convegno ''Dall'esclusione all'inclusione - Strategia europea e azione italiana sui Rom''. ''Dobbiamo chiederci - ha aggiunto il ministro - se è accettabile che il nostro continente ospiti ancora così vaste aree di ingiustizia, di segregazione, quelle dei Rom, il popolo più discriminato nel nostro continente''. Riccardi ha inoltre sostenuto che ''è ora di intraprendere azioni concrete. E' ora di includere, garantire l'inclusione nella più vasta comunità nazionale, ed assicurare un miglioramento duraturo delle loro condizioni di vita. Spesso - ha detto Riccardi - i loro campi sono luoghi della vergogna del nostro Paese. Trovare soluzione ai problemi del popolo Rom andrà a vantaggio di tutta intera la nostra societa'''. Per Riccardi occorre dunque ''spezzare il circolo vizioso di povertà, risultati scolastici insoddisfacenti, situazione sanitaria e alloggiativa carente, emarginazione sociale''. Quest'opera, ha spiegato il ministro Riccardi - dovrà andare di pari passo con ''il coinvolgimento delle comunità rom nei processi decisionali nazionali e locali: di tratta di responsabilizzare i Rom, anche attraverso una sensibilizzazione circa i loro diritti e doveri, in ordine al loro stesso sviluppo sociale. Che cosa diremo - ha chiesto Riccardi, concludendo il suo intervento - alle generazioni presenti e future, se non riusciremo ad integrare poche migliaia di Rom, di cui la metà minori?''. CONCLUSIONI
E’ inutile sottolineare che i buoni propositi del Ministro sono stati subito subissati dagli insulti di quotidiani come Il Giornale e Libero che definendo il ministro “cattocomunista”, hanno nuovamente acceso il fuoco dell’odio razziale, chiedendo in diversi articoli le dimissioni dello stesso Riccardi. Per il popolo romanès, dunque, il genocidio continua: era il 1483 quando la Serenissima Repubblica di Venezia emana il primo bando italiano contro i rom, duecento anni dopo il Ducato di Milano autorizzava ogni cittadino “d’ammazzarli impune e levar loro ogni sorta di robbe, bestiami e denari che gli trovasse…” , nella seconda guerra mondiale i nazisti ne trucidarono oltre un milione, senza dimenticare gli eccidi compiuti durante la guerra civile in Jugoslavia. La Shoah degli zingari si chiama Porrajimos (forma sostantiva del verbo porav = divorare). Dopo la guerra le autorità tedesche negarono i risarcimenti elargiti alle vittime dell’Olocausto giustificandosi che i Rom e i Sinti furono perseguitati non per motivi razziali ma in quanto asociali e criminali. Il mondo muta velocemente, le società si evolvono ma i sentimenti di avversione verso i romanès purtroppo restano.
MAURIZIO ORIUNNO
copyright Il Bene Comune maggio 2012