domenica 21 novembre 2010

Tasti bianchi e neri tra lirismo e poesia: Clayton incanta il Savoia

Tasti bianchi e neri tra lirismo e poesia: Clayton incanta il Savoia
Il trio guidato dal giovane pianista per i venti anni della scuola Thelonious Monk

Straordinario il concerto che ha festeggiato i venti anni di attività dell’associazione musicale Thelonious Monk di Campobasso. Sul palco del Teatro Savoia venerdì sera, dinanzi un pubblico attento e partecipe, si è esibito Gerald Clayton, uno dei migliori epigoni del grande pianista statunitense, giovane e raffinatissimo interprete che, tra tradizione e modernità, lirismo e poesia, ha intrattenuto e soddisfatto il pubblico presente, leggendo uno della migliori pagine di jazz nel capoluogo regionale. Clayton deve molto al patrimonio di Monk, (nel 2006 è stato il secondo classificato alla prestigiosa Jazz Piano Competition del Thelonious Monk Institute), così come i due musicisti che l’hanno accompagnato per il suo tour italiano e con i quali ha pubblicato recentemente il suo primo album Two-Shade (ArtistShare) nominato ai Grammy Awards 2010. Una sezione ritmica precisa e attenta alle divagazioni di Clayton che toccava spesso punte romantiche sui tasti del pianoforte, struggenti ma mai gratuite.

Una presenza quella di Joe Sanders al contrabbasso che risente del suo studio con Terence Blanchard presso il prestigioso Thelonious Monk Institute, tanto da essere oggi uno dei più richiesti giovani bassisti jazz, così come quella di Justin Brown, talentuoso batterista che dopo esperienze importanti nelle migliori scuole ed istituti musicali degli States, così come in tanti jazz festival, è uscito recentemente dalla prestigiosissima Julliard School di New York.

Un concerto tutto dedicato a Thelonious Monk con l’omaggio finale sulle note di “Straight no ceasar”, il brano più famoso del celebre pianista. Giovani talenti, dunque, per festeggiare i 20 anni di passione e di coerenza dell’Associazione guidata da Gianclaudio Piedimonte e della scuola musicale che, anno dopo anno, riesce attraverso un percorso didattico molto importante per le giovani generazioni, a portare la musica afroamericana nelle case di tanti molisani.

pubblicato su Il Nuovo Molise del 14 novembre 2010

lunedì 21 giugno 2010

D'Amore e di devozione: il primo cd dell'Arcano Patavino

"D'amore e di devozione" è il primo cd dell'Arcano Patavino e sarà distribuito nei negozi dalla meta di luglio. Compratelo, ascoltatelo, magari in compagnia dei vostri nonni e lasciatevi cullare. "D'amore e di devozione" è un disco di musica di confine, dove per confine si intende quel fragile equilibrio tra suoni, linguaggi, ritmi ma anche epoche diverse. Questo rende il disco come l'opera più eccitante del panorama world etno italiano del 2010; masterizzato da Tony Cousin, master engeneer di Peter Gabriel, prodotto da Lorenzo "Moka" Tommasini, musicista e sound engeneer (Hector Zazou, Gianni Maroccolo, PGR, Piero Pelù, Sainkho), suonato insiema a Cristiano Godano, voce dei Marlene Kuntz, Tony Bowers, bassista storico dei Simply Red, insieme ai musicisti molisani Pasquale Macolino (basso), Graziano Carbone (daff, percussioni), Giulio Costanzo (timpani), Remo Ianniruberto (violoncello). Tra arcaico e contemporaneo, tra elettronica e acustica, dentro i canti di lavoro e di amore che si mescolavano lungo i tratturi che legavano Puglia e Abruzzi, l'Arcano Patavino ha saputo ricercare e leggere i segni, le parole e l'identità di una comunità che la modernità vorrebbe cancellare indissolubilmente. Canti di resistenza, dunque, ma senza retorica. "D'Amore e di Devozione - affermano - è un'opera di decontestualizzazione e destrutturazione che intende avvicinare due mondi paralleli, l'oralità e la scrittura, evitando però qualsiasi esercizio retorico ed oleografico. Arcano e Patavino hanno considerato questi canti popolari come archetipi di una poetica contemporanea. Alcune melodie sono state riscritte, ad altre sono state aggiunte delle parti. I testi hanno subito degli aggiustamenti per rendere tutto il più possibile strutturalmente coerente con le ambientazioni sonore disegnate e con la forma canzone ma conservano intatta la lingua degli antichi dialetti molisani, quelli che si sono sistematicamente parlati sui tratturi fino agli anni sessanta del '900." L'ombra di Matteo Salvatore ricorre più volte nei brani del disco, determinando canti sghembi, tortuosi nella loro semplicità e che la voce di Donato Arcano riesce a tradurre in una forma artistica assolutamente inedita. "Durante la ricerca sul campo, nell’area del Medio Molise Fortore (CB), tra il 2004 e il 2006 - afferma sul disco Matteo Patavino - siamo stati agiti dagli spiriti possessori riattivati dai nostri vecchi. Gioie, soprattutto disillusioni e sofferenze; avevamo riaperto ferite in cambio della promessa di un attimo di immortalità. Lì è stata avvertita la necessità di espellere quelle forze con uno stato cosciente di trans-codifica; la tradizione utilizzata non per reinventare un presente nostalgico ma per garantirsi un futuro mitologico, consapevoli che il peccato più grande sarebbe stato mistificare forme sublimi di cultura popolare già santificate da P.P. Pasolini nel Canzoniere Italiano."

giovedì 20 maggio 2010

TANTE BELLE COSE DA PAUL GIAMBARBA

Intervista al designer di origini molisane che ha curato l'immagine ed l'identità del marchio Polaroid dal 1958
di Maurizio Oriunno

Le sue creazioni hanno accompagnato la nostra vita e hanno contribuito ad immortalare i ricordi di milioni di esseri umani sparsi nel globo. I suoi lavori più recenti sono esposti dal 18 dicembre dello scorso anno negli interni dell’International Center of Photography di New York. La vita di Paul Giambarba è legata indissolubilmente a quella della Polaroid. Di origini molisane, proveniente da una famiglia di Casacalenda, in provincia di Campobasso, Paul Giambarba è uno storico ed affermato cartoonist, designer, scrittore ed illustratore che oggi vive a Cape Cod nel Massachusetts.

Ottantadue anni, Giambarba ha curato l’immagine e l’identità della Polaroid sin dal 1958. E’ una sua creazione, infatti, l’innovativo packaging nero con le onnipresenti strisce di colore sulle confezioni di pellicole e macchine fotografiche dagli anni sessanta ad oggi. In cinquant’anni di carriera ha progettato e realizzato centinaia di modelli per la Polaroid ma è stato anche consulente di design per i giocattoli della Tonka Corporation, per la Gillette Company International oltre che per l'Aga Khan. I suoi lavori sono stati recensiti in tutto il mondo, ha scritto una dozzina di libri, ha fondato riviste come the Scrimshaw Press e CapeArts Magazine; come illustratore e cartoonist ha lavorato per Sports Illustrated, This Week Magazine, True e Spy Magazine.
Tra passato e presente, con le opere esposte a New York (una nuova collezione di quindici confezioni di pellicole e di tre sue famose “scatole contenitore” per macchina fotografica Polaroid), che rappresentano senza dubbio il futuro prossimo della “istantanea”, Giambarba ha aderito all’Impossible Project. Ideato da Florian Kaps e André Bosman, l’ambizioso progetto impossibile, intende, in piena epoca digitale, ridare entro quest’anno al mercato europeo tutti gli accessori (pellicole, acidi, lenti), indispensabili per continuare a scattare le istantanee della Polaroid, altrimenti inutilizzabili, dopo la decisione di dismettere interamente la produzione con la chiusura dell’ultimo stabilimento in Olanda.
Raggiungiamo Giambarba tramite Facebook e, dopo le presentazioni di rito e la necessità di comunicare in inglese (“Il mio italiano è quello del 19° secolo, quello che parlavano i miei nonni” mi scrive, scusandosi cordialmente), ci addentriamo nell’intensa vita creativa di Paul Giambarba
Partiamo dal Molise, luogo dal quale i suoi antenati partirono alla volta degli States. Un cammino comune per centinaia di famiglie. Come è riuscito a legare un italoamericano il suo amore per l’arte e per il segno nell’America post bellica ad una grande corporation come Polaroid?
“C’erano forti pregiudizi contro di noi da parte della classe operaia di Boston di origine irlandese con tanto bullismo, la stessa cosa non era tanto evidente tra gli Yankees di ceto medio alto. Ho sempre pensato che, dopotutto, il matrimonio misto tra i cattolici italiani e irlandesi era il modo migliore per andare d’accordo con loro. D'altra parte, però, ho optato per il matrimonio con gli anglo protestanti perché ho trovato queste ragazze più simpatiche e disposte a sposare qualcuno che non aveva un posto di lavoro "convenzionale". Potrebbe essere difficile per gli italiani di oggi capire che prima del 1950 in America, quasi tutti quelli di origine italiana erano totalmente ignoranti della storia d'Italia prima di Mussolini e la diffusione del fascismo. Direi che oggi la maggior parte di loro lo sono ancora. Ma sto divagando. E’ stata semplicemente una questione di fortuna. Nel 1955 mi è capitato di incontrare a Boston un vecchio collega durante una serie di incontri con alcuni clienti. Mi disse che sua moglie era gravemente malata e pensò che avrei potuto essere in grado di fare un certo lavoro per un suo cliente, la Polaroid Corporation, appena oltre il fiume Charles, a Cambridge. Incontrai il cliente, un tipo molto simpatico, che rimase molto colpito dai miei lavori per Sports Illustrated. Successivamente cominciai a ricevere più lavori quando io e la mia giovane moglie tornammo negli States dopo sette mesi di viaggio in Europa occidentale. I miei cartoon ci avevano permesso di acquistare una piccola casa, che abbiamo venduto per finanziare il viaggio, nonché il passaggio per i miei genitori che abbiamo incontrato a Roma quando abbiamo fatto visita alla nostra famiglia lì, a Napoli e a Casacalenda. I nostri viaggi hanno coinciso con quella che era un epoca d'oro per il design in tutta Europa, tornai ispirato e convinto che avrei potuto aiutare la corporate identity della Polaroid. Può sembrare presuntuoso da parte mia ma la sua immagine all’epoca era così incompetente che qualsiasi cambiamento sarebbe stato un miglioramento. Iniziò così una collaborazione lunga ventotto anni, che è una durata di vita insolitamente lunga per un cliente, in cui ho creato centinaia di modelli di package, che erano in realtà le icone di identità del prodotto. Non sono mai stato un dipendente, ho lavorato solo come freelance, in qualità di art director, designer e consulente per il design. E' stato più importante per me lavorare a casa, gustare ogni giorno i pasti con mia moglie ed i mie figli, così come nuotare e pescare nella acque di Cape Cod quando le stagioni ed il tempo lo permettevano. Avevo visto abbastanza della vita aziendale ed avevo sopportato troppe riunioni noiose con i clienti e sapevo che non era la vita adatta a me. Guidavo fino a Cambridge ogni settimana per pranzare con i miei clienti e riportare a casa incarichi su cui lavorare. E’ stato il modo ideale per fare un lavoro creativo…”

La sua attività professionale ed artistica ha attraversato momento storici importanti. Come ha vissuto l’evoluzione del segno nel corso di questi decenni?
“Confesso che non ero ignaro delle tendenze nella grafica durante i decenni del secolo scorso. Tuttavia, ho ostinatamente lasciato che il mio lavoro fosse fedele al mio temperamento ed al mio stile. La maggior parte del lavoro visto in Svizzera e in Italia aveva poco in comune con le sfide che affrontavamo a quel tempo negli Stati Uniti. Continuo a divertirmi nel vedere tre colonne di testo in inglese oggi perché un disegnatore americano ha copiato il progetto svizzero in tre lingue di cinquanta anni fa. Alla fine degli anni ’70 c'era poco da vedere in Europa, poiché poster e gallerie d'arte erano diventati per me banali. Penso che sia coinciso con l'esportazione americana di fast food in franchising e con la globalizzazione commerciale. Probabilmente è stato un periodo in cui contavano più i commercialisti (bean – counters) ed il profitto piuttosto che l’estetica ed il buon gusto.”
Torna spesso in Italia? Il nostro paese ha vissuto una florida stagione legata all’arte ma anche al design e al mondo della moda. Le interessa quello che accade dall’altra parte dell’Oceano?
“Sono tornato in Italia recentemente nel 2006 e nel 2003 per celebrare il 75esimo compleanno ed i 40 anni di mio figlio. Abbiamo visitato la nostra famiglia a Casacalenda, siamo stati poi a Ravenna, Roma e nel Canton Ticino. Prima ho fatto molti viaggi con mia moglie ed i miei figli nell’estate del 1971 e del 1972, quando ho avuto un contratto di sei mesi in Costa Smeralda dall’Aga Khan.”
Proprio a Casacalenda da circa due anni è stato riaperto un cinema che rappresenta l’unica sala in un territorio sconquassato dal terribile sisma del 2002. Sempre nel paese dei suoi nonni c’è un festival “Molisecinema”, che ogni anno cresce in termini di qualità e di riscontro su tutto il territorio. Paul Sorvino e sua figlia Mira anch’essi hanno origini di Casacalenda. Se la sente di proporre loro una rimpatriata? Sareste dei testimonial eccezionali per una terra dalla quale molti giovani fuggono ancora…
“Paul e Mira Sorvino sono Vip e dubito che siano interessati all’argomento. Tengo tutti e due in alta considerazione e farei qualsiasi cosa necessaria per la tua proposta.”
Come percepisce il Molise dalla sua residenza di Cape Cod?
“Curiosamente, l'unica volta che ho incontrato molisani durante la mia vita è stato al Chateau Laurier di Ottawa, in Canada, quando insieme a due miei colleghi sergenti di artiglieria ho passato una notte di un week-end. Era quasi 60 anni fa e non riesco a ricordare i dettagli ma credo che due del personale di sala fossero di Campobasso, o addirittura di Casacalenda. Mio cugino Michele mi ha detto che ci sono molti casacalendesi a Montreal, ma non sono andato mai a cercargli. Ho letto Giose Rimanelli quando fu pubblicato la prima volta negli Stati Uniti e seguo su internet tutto quello che posso trovare sul Molise. Mi sento vicino ma, ahimè, come un estraneo. Sono trascorsi circa 120 anni da quando mia nonna Adelina Colucci arrivò a Castle Garden (costruita prima di Ellis Insland) in una giornata fredda ed ostile di dicembre. A proposito, fu lei che mi insegnò a disegnare e sarò per sempre suo debitore. Povera anima, ha resistito 55 anni in una terra straniera, senza avere mai l'opportunità di ritornare, come previsto, a Casacalenda. Sedici anni dopo il suo arrivo, mio nonno Federico morì improvvisamente e la sua morte prematura e le due guerre mondiali, resero impossibile il loro ritorno."

Infine “The impossibile Project”. Il passaggio al digitale ha rappresentato uno spartiacque epocale nel mondo della fotografia, eppure in Inghilterra fino a pochi anni fa si vendevano a Natale circa 55mila macchine Polaroid istantanee. Ritiene valido il progetto di riportare la fotografia istantanea tra le famiglie europee?
“Personalmente non ho aspettative. E’ solo un incarico freelance. Ho fatto i disegni per la Special Edition e per le camere che portano il mio nome. Questa, del resto, era l'idea di Florian Kaps che è venuto a Cape Cod per chiedermi di partecipare al progetto. Ovviamente ho accettato il lavoro - non ci sono molti clienti per un progettista di 80 anni in questo Paese. Penso comunque che abbiano dimostrato grande coraggio nell’assegnarmi il progetto.”
Paul Giambarba mi saluta con un “tante belle cose”, una tenera forma di saluto tipica dell’Italia dei miei genitori ed ormai desueta e dalla quale, nonostante la freddezza del mezzo tecnologico, percepisco l’immagine di un Paese che ormai non c’è più e che, probabilmente, continua a vivere ancora proprio tra gli italo americani di prima generazione. Quell’Italia delle buone maniere e del rispetto del galateo, che sa di rasature fresche di barbiere e acqua di colonia, di strette di mano vigorose e di brindisi accompagnati da sguardi diretti e rispettosi. Un Italia lontana da quella insolente e scollacciata che oggi il mezzo televisivo vorrebbe porci dinanzi come unico modello di riferimento. Grazie Mr. Giambarba, tante belle cose anche a lei.

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