venerdì 18 gennaio 2008
TERREMOTO?
Il presidente del Molise indagato per concussione e abuso d'ufficio
Il presidente della Regione Molise, Michele Iorio, e' indagato dalla Procura della Repubblica di Campobasso per concussione e abuso d'ufficio in un'inchiesta riguardante i rapporti tra la Regione e una societa' multinazionale di consulenza. Al centro dell'inchiesta -in cui sarebbe indagato solo Iorio - vi sarebbero delle delibere di affidamento di incarichi alla multinazionale.
Secondo quanto si e' appeso in serata, il legale del presidente, Arturo Messere, ha gia' ricevuto la notifica di conclusione delle indagini. "Siamo tranquilli - ha detto all'Ansa il legale -. Abbiamo studiato le carte e siamo in grado di dimostrare la completa estraneita' del presidente ai fatti".
RaiNews24 18 gennaio 2008
A giudizio leader Udc Molise Patriciello per truffa e abuso
Processo anche per presidente Consiglio Pietracupa e altri 4
(ANSA) - CAMPOBASSO, 17 GEN - Il Gup di Campobasso ha rinviato a giudizio l'eurodeputato e leader dell'Udc molisana, Aldo Patriciello. E altri cinque tra cui il presidente del Consiglio regionale, Mario Pietracupa (Udc), cognato di Patriciello, per concorso in tentativo di truffa, abuso e malversazione. L'inchiesta riguarda un centro di riabilitazione a Salcito, mai entrato in funzione. Il processo si terra' il 4 giugno.
lunedì 14 gennaio 2008
COME SONO STATI SPESI I SOLDI DEL TERREMOTO? LA PROCURA INDAGA
Come sono stati spesi i soldi del terremoto?
La Procura indaga
La Guardia di Finanza, su ordine dei pm di Larino, ha acquisito le delibere di finanziamento per la ricostruzione e per l’articolo 15. Dunque, dopo la Corte dei Conti, anche i magistrati penali hanno deciso di indagare sui metodi con i quali Michele Iorio ha utilizzato le centinaia di milioni di euro arrivati in Molise in seguito al terremoto dell’ottobre 2002.
di Daniela Fiorilli
da www.primonumero.it del 14 gennaio 2008
Dopo la Corte dei Conti, anche la magistratura penale ha deciso di “accendere un faro” sull’utilizzo delle centinaia di milioni di euro che sono piovuti sul Molise dopo il terremoto dell’ottobre 2002. La Procura di Larino ha infatti aperto recentemente un fascicolo di inchiesta sul modo con cui sono stati impiegati i “fondi sisma” e sulla distribuzione di denaro avvenuta in tutta la regione grazie all’ormai famoso articolo 15 con il quale l’allora presidente del Consiglio – Silvio Berlusconi – nominando Michele Iorio Commissario Straordinario per la ricostruzione affidò esclusivamente alle sua mani la gestione non soltanto dei soldi per le aree terremotate, ma anche quelli per una fantomatica “ripresa produttiva” di tutto il Molise.
Come primo atto dell’inchiesta, nei giorni scorsi il Procuratore Capo di Larino, Nicola Magrone, ha dato mandato alla Guardia di Finanza di acquisire tutta la documentazione relativa al sisma, e soprattutto di portare sulla sua scrivania i decreti di finanziamento con i quali il commissario Michele Iorio ha seminato i fondi destinati a San Giuliano di Puglia (e a qualche altro piccolo Comune della stessa zona danneggiato dalle scosse) ad altre zone della regione, e quelli con cui sono state finanziati tutti i 136 Comuni molisani, compresi quelli della Provincia di Isernia, grazie all’escamotage dell’articolo 15.
L’entità di tutti i fondi arrivati in Molise dopo il terremoto, ammonta a circa 500 milioni di euro (circa mille miliardi di lire). Si tratta di una cifra enorme che, come molti sanno, non è stata investita soltanto nelle opere di ricostruzione. Solo per fare qualche esempio: buona parte dei soldi gestiti col programma dell’articolo 15, e cioè per favorire una ripresa economica “in primo luogo delle zone terremotate” è stata invece dirottata sulla zona di Isernia per iniziative che hanno fatto e fanno ancora discutere, come la risistemazione dell’ex fornace di Cantalupo del Sannio (500 mila euro), o la creazione di un parco tecnologico dell’acqua a Isernia (600mila euro), o per la rete dei sentieri di Gildone (254 mila euro).
Quello che la Procura vuole verificare è se dietro questi finanziamenti vi siano non soltanto scelte politiche opinabili, ma anche reati. Del resto, in questa distribuzione a pioggia di denaro vi sono dei casi che suscitano molte perplessità. Come quello di Sant’Angelo del Pesco, paesino nell’estrema zona occidentale della Regione, di appena 416 anime, ma solida roccaforte del centrodestra. Questo piccolo centro, dimenticato da Dio ma non da Iorio, è distante 110 chilometri dall’epicentro del sisma del 2002 e infatti non ha riportato nessun danno. Eppure Sant’Angelo del Pesco ha goduto di tre finanziamenti in virtù dell’articolo 15, per la cifra complessiva di 815mila euro, finalizzati alla realizzazione di un centro di equitazione in campagna e la sistemazione del verde e dell’arredo urbano.
Uno dei motivi che sono a base dell’inchiesta della Procura sta anche nella definizione dell’entità del sisma. Già durante il processo per il crollo della scuola Jovine di San Giuliano, il procuratore Magrone ebbe modo di dire che, secondo il suo parere e secondo quello di molti esperti di sismologia, quello dell’ottobre del 2002 fu un terremoto assai limitato nei suoi effetti. Oltre a San Giuliano di Puglia, dove morirono 27 bambini e una maestra, e dove oltre alla scuola crollarono alcuni altri edifici, solo nei paesi del cratere la scossa provocò danni visibili. Ma, per esempio, sulla costa vennero avvertiti solo lontani effetti che diedero il senso della paura che il terremoto può seminare, e nient’altro. Per non parlare di una larga parte della Provincia di Isernia dove la scossa non fu neppure avvertita.
Dunque, se il terremoto fu di limitata entità e i suoi effetti di limitata estensione, la Procura vuole capire perché i benefici dei finanziamenti arrivati proprio in seguito al terremoto sono stati estesi non soltanto a tutta la Provincia di Campobasso ma all’intera Regione.
Inutile nascondere che per i magistrati in questa vicenda possa essere ravvisabile un interesse più personale che collettivo anche perché in questa distribuzione di centinaia di milioni di euro vi sono molti conti che non tornano (nello specifico: per quanto riguarda l’articolo 15, ogni abitante della provincia di Isernia ha avuto 445 euro pro capite e quelli della zona di Campobasso che include il cratere solo 333mila).
Ma non basta. La Procura sta anche cercando di capire se tutti gli appalti sono stati affidati con procedure regolari e trasparenti. Una verifica sollecitata anche da alcune imprese che sono state tagliate fuori dalle opere di ricostruzione, le quali hanno anche segnalato come, per esempio, tra le aziende che si sono aggiudicate i lavori di ricostruzione nelle zone più colpite sette sono della provincia di Isernia e due fanno capo alla famiglia Patriciello.
Che qualcosa possa non quadrare nei conti dei “fondi sisma” e “dell’articolo 15” lo sospetta infine anche la Corte dei Conti. Come è noto, infatti, i magistrati che hanno il compito di verificare se il denaro pubblico viene speso in modo corretto hanno già aperto nello scorso autunno un fascicolo in merito.
Anche perché, nonostante il fatto che fino ad oggi siano stati spesi 380 milioni di euro e altri 300 milioni (come hanno convenuto lo stesso Iorio e il ministro Di Pietro il 10 gennaio) siano già disponibili per essere spesi, non ci sono abbastanza soldi per restituire allo Stato i contributi sospesi negli ultimi cinque anni. Tant’è che è stato chiesto al Governo di rimandare e se possibile cancellare il saldo del debito.
giovedì 10 gennaio 2008
FENOMENOLOGIA DELL'EMERGENZA
Fenomenologia dell'emergenza
da www.repubblica.it
di Antonello Caporale
Segnate a matita perché la cifra, ferma al giugno dell'anno scorso, forse andrà corretta: in Italia all'inizio dell'estate la Corte dei Conti ha contato 84 commissari straordinari per altrettante emergenze. Alluvioni e siccità, colera, traffico e terremoti. Emergenza dovunque e comunque. Per le cose gravi, le grandi calamità, e anche per le cose piccole: una festa, una preghiera di massa, un gioco olimpionico. Il Papa va a pregare a Loreto? Emergenza. Ci vuole Bertolaso per fargli dire messa, allestire palco e spalti. A Varese sono in programma i mondiali di ciclismo? Emergenza bici naturalmente. A Pescara i Giochi del Mediterraneo? Emergenza anche sulle rive dell'Adriatico.
Alluvioni a Parma e commissario (21 ottobre 2002); un altro a Massa Carrara, un terzo in Friuli. Stesso motivo per tutti. Emergenze si segnalano a Matera, Vibo Valentia, in Basilicata, Liguria e Veneto. A Bari la ventennale emergenza del colera e commissario costituito.
Questo corri corri alla calamità naturale ha un motivo: i soldi. Finanziamenti speciali che si aggiungono a quelli ordinari. E in aggiunta un prezioso cadeau: controlli pari a zero.
L'emergenza gonfia molti portafogli e costruisce luminose carriere. Il commissario deve badare a fare, e presto. Quindi assunzioni per chiamata diretta, spese a trattativa privata. Consulenti, collaboratori e tecnici. La burocrazia dell'emergenza è gigantesca, libera da ogni vincolo, esclusa dall'osservanza di ogni criterio di congruità e persino di ragionevolezza. C'era un commissario all'acqua a Reggio Calabria, c'è un commissario al traffico a Napoli, Roma, Venezia e persino a Messina.
Dal 1968 al 1996 sono stati iscritti in bilancio 109mila miliardi di lire, al cambio attuale fanno 57 miliardi di euro. Per il fuoco (emergenza incendi!) sono andati via bruciati dal 2001 al 2006 762 milioni di euro.
L'emergenza fa spendere, abbiamo detto, senza alcun obbligo della resa del conto. La lista della spesa dichiarata urgente e indifferibile, diviene - a consuntivo - sommaria, senza dettagli. Inconsistente.
La corsa all'emergenza, che non conosce sosta, a volte produce problemi anziché soluzioni, crea nuovi bisogni invece di saziare i vecchi. La tragedia dei rifiuti napoletani rappresenta un caso di scuola, l'esempio plastico del saccheggio delle risorse pubbliche nella consapevolezza che si resterà impuniti.
L'emergenza per durare deve perciò produrre due condizioni Primo: creare nuovi bisogni. Secondo: tenerli sospesi, a mezz'aria. Come aprire un cantiere e mai finirlo. Costruire una scuola e non collaudarla. Mai saziare il bisogno primitivo. Figurarsi quelli altri che sono stati aggiunti nel corso del tempo. Più bisogni ci sono, più a lungo si confiderà nella manna dei finanziamenti speciali, ulteriori, straordinari.
Ogni terremoto costa una tombola anche perché invece di costruire quel che è cascato a terra, si promuove immediatamente un nuovo bisogno essenziale. Alla comunità sfortunata in genere si annuncia la necessità indifferibile di garantire anzitutto un futuro di benessere, cioè il lavoro. Dunque le industrie. Perciò via alle ruspe, ma prima delle ruspe via agli espropri, il miglior business per gli avvocati. Poi ecco le ruspe, quindi ecco i tecnici al lavoro (ingegneri, geometri). E gli incentivi alle imprese (vere o false) che vogliono produrre. Ma avete mai visto industrie senza strade? Via alle strade: collegamenti nuovi, o adeguamenti dei vecchi. E case senza piazze? Sì alle piazze. Piazze senza biblioteche?
Anche le biblioteche e così via, a scendere fino ad attivare il progetto per il prato, l'aiuola, il parco giochi.
E' una catena infinita e infatti mai finisce. Serve a costruire la rete dei clientes. Più clientes più consenso elettorale. Più consenso più carriera politica.
500 milioni di euro è costata la prima tranche dell'opera di ricostruzione dei dieci comuni molisani colpiti dal terremoto del 31 ottobre 2002. Diecimila abitanti il numero dei concittadini nei centri disastrati.
Col tempo e con le emergenze i terremotati sono lievitati, e così pure le case, le scuole, le strade, i prati. La necessità finanziaria attuale, quattro anni dopo e 500 milioni spesi, è perciò presto detta: servono almeno altri 500 milioni di euro per completare la ricostruzione.
L'emergenza ci fa ricchi, questo è il problema.
da www.repubblica.it
di Antonello Caporale
Segnate a matita perché la cifra, ferma al giugno dell'anno scorso, forse andrà corretta: in Italia all'inizio dell'estate la Corte dei Conti ha contato 84 commissari straordinari per altrettante emergenze. Alluvioni e siccità, colera, traffico e terremoti. Emergenza dovunque e comunque. Per le cose gravi, le grandi calamità, e anche per le cose piccole: una festa, una preghiera di massa, un gioco olimpionico. Il Papa va a pregare a Loreto? Emergenza. Ci vuole Bertolaso per fargli dire messa, allestire palco e spalti. A Varese sono in programma i mondiali di ciclismo? Emergenza bici naturalmente. A Pescara i Giochi del Mediterraneo? Emergenza anche sulle rive dell'Adriatico.
Alluvioni a Parma e commissario (21 ottobre 2002); un altro a Massa Carrara, un terzo in Friuli. Stesso motivo per tutti. Emergenze si segnalano a Matera, Vibo Valentia, in Basilicata, Liguria e Veneto. A Bari la ventennale emergenza del colera e commissario costituito.
Questo corri corri alla calamità naturale ha un motivo: i soldi. Finanziamenti speciali che si aggiungono a quelli ordinari. E in aggiunta un prezioso cadeau: controlli pari a zero.
L'emergenza gonfia molti portafogli e costruisce luminose carriere. Il commissario deve badare a fare, e presto. Quindi assunzioni per chiamata diretta, spese a trattativa privata. Consulenti, collaboratori e tecnici. La burocrazia dell'emergenza è gigantesca, libera da ogni vincolo, esclusa dall'osservanza di ogni criterio di congruità e persino di ragionevolezza. C'era un commissario all'acqua a Reggio Calabria, c'è un commissario al traffico a Napoli, Roma, Venezia e persino a Messina.
Dal 1968 al 1996 sono stati iscritti in bilancio 109mila miliardi di lire, al cambio attuale fanno 57 miliardi di euro. Per il fuoco (emergenza incendi!) sono andati via bruciati dal 2001 al 2006 762 milioni di euro.
L'emergenza fa spendere, abbiamo detto, senza alcun obbligo della resa del conto. La lista della spesa dichiarata urgente e indifferibile, diviene - a consuntivo - sommaria, senza dettagli. Inconsistente.
La corsa all'emergenza, che non conosce sosta, a volte produce problemi anziché soluzioni, crea nuovi bisogni invece di saziare i vecchi. La tragedia dei rifiuti napoletani rappresenta un caso di scuola, l'esempio plastico del saccheggio delle risorse pubbliche nella consapevolezza che si resterà impuniti.
L'emergenza per durare deve perciò produrre due condizioni Primo: creare nuovi bisogni. Secondo: tenerli sospesi, a mezz'aria. Come aprire un cantiere e mai finirlo. Costruire una scuola e non collaudarla. Mai saziare il bisogno primitivo. Figurarsi quelli altri che sono stati aggiunti nel corso del tempo. Più bisogni ci sono, più a lungo si confiderà nella manna dei finanziamenti speciali, ulteriori, straordinari.
Ogni terremoto costa una tombola anche perché invece di costruire quel che è cascato a terra, si promuove immediatamente un nuovo bisogno essenziale. Alla comunità sfortunata in genere si annuncia la necessità indifferibile di garantire anzitutto un futuro di benessere, cioè il lavoro. Dunque le industrie. Perciò via alle ruspe, ma prima delle ruspe via agli espropri, il miglior business per gli avvocati. Poi ecco le ruspe, quindi ecco i tecnici al lavoro (ingegneri, geometri). E gli incentivi alle imprese (vere o false) che vogliono produrre. Ma avete mai visto industrie senza strade? Via alle strade: collegamenti nuovi, o adeguamenti dei vecchi. E case senza piazze? Sì alle piazze. Piazze senza biblioteche?
Anche le biblioteche e così via, a scendere fino ad attivare il progetto per il prato, l'aiuola, il parco giochi.
E' una catena infinita e infatti mai finisce. Serve a costruire la rete dei clientes. Più clientes più consenso elettorale. Più consenso più carriera politica.
500 milioni di euro è costata la prima tranche dell'opera di ricostruzione dei dieci comuni molisani colpiti dal terremoto del 31 ottobre 2002. Diecimila abitanti il numero dei concittadini nei centri disastrati.
Col tempo e con le emergenze i terremotati sono lievitati, e così pure le case, le scuole, le strade, i prati. La necessità finanziaria attuale, quattro anni dopo e 500 milioni spesi, è perciò presto detta: servono almeno altri 500 milioni di euro per completare la ricostruzione.
L'emergenza ci fa ricchi, questo è il problema.
mercoledì 9 gennaio 2008
sabato 5 gennaio 2008
IMPRESE, POLITICI E CAMORRA: ECCO I COLPEVOLI DELLA PESTE
J'accuse dell'autore di Gomorra: la tragedia
è che Napoli si sta rassegnando all'avvelenamento
Imprese, politici e camorra
ecco i colpevoli della peste
Gli ultimi dati dell'Oms parlano di un aumento vertiginoso, oltre
la media nazionale, dei casi di tumore a pancreas e polmoni
di ROBERTO SAVIANO
da www.repubblica.it 5 gennaio 2008
È un territorio che non esce dalla notte. E che non troverà soluzione. Quello che sta accadendo è grave, perché divengono straordinari i diritti più semplici: avere una strada accessibile, respirare aria non marcia, vivere con speranze di vita nella media di un paese europeo. Vivere senza dovere avere l'ossessione di emigrare o di arruolarsi.
E' una notte cupa quella che cala su queste terre, perché morire divorati dal cancro diviene qualcosa che somiglia ad un destino condiviso e inevitabile come il nascere e il morire, perché chi amministra continua a parlare di cultura e democrazia elettorale, comete più vane delle discussioni bizantine e chi è all'opposizione sembra divorato dal terrore di non partecipare agli affari piuttosto che interessato a modificarne i meccanismi.
Si muore di una peste silenziosa che ti nasce in corpo dove vivi e ti porta a finire nei reparti oncologici di mezza Italia. Gli ultimi dati pubblicati dall'Organizzazione Mondiale della Sanità mostrano che la situazione campana è incredibile, parlano di un aumento vertiginoso delle patologie di cancro. Pancreas, polmoni, dotti biliari più del 12% rispetto alla media nazionale. La rivista medica The Lancet Oncology già nel settembre 2004 parlava di un aumento del 24% dei tumori al fegato nei territori delle discariche e le donne sono le più colpite. Val la pena ricordare che il dato nelle zone più a rischio del nord Italia è un aumento del 14%.
Ma forse queste vicende avvengono in un altro paese. Perché chi governa e chi è all'opposizione, chi racconta e chi discute, vive in un altro paese. Perché se vivessero nello stesso paese sarebbe impensabile accorgersi di tutto questo solo quando le strade sono colme di rifiuti. Forse accadeva in un altro paese che il presidente della Commissione Affari Generali della Regione Campania fosse proprietario di un'impresa - l'Ecocampania - che raccoglieva rifiuti in ogni angolo della regione e oltre, e non avesse il certificato antimafia.
Eppure non avviene in un altro paese che i rifiuti sono un enorme business. Ci guadagnano tutti: è una risorsa per le imprese, per la politica, per i clan, una risorsa pagata maciullando i corpi e avvelenando le terre. Guadagnano le imprese di raccolta: oggi le imprese di raccolta rifiuti campane sono tra le migliori in Italia e addirittura capaci di entrare in relazione con i più importanti gruppi di raccolta rifiuti del mondo. Le imprese di rifiuti napoletane infatti sono le uniche italiane a far parte della EMAS, francese, un Sistema di Gestione Ambientale, con lo scopo di prevenire e ridurre gli impatti ambientali legati alle attività che si esercitano sul territorio.
Se si va in Liguria o in Piemonte numerosissime attività che vengono gestite da società campane operano secondo tutti i criteri normativi e nel miglior modo possibile. A nord si pulisce, si raccoglie, si è in equilibrio con l'ambiente, a sud si sotterra, si lercia, si brucia. Guadagna la politica perché come dimostra l'inchiesta dei Pm Milita e Cantone, dell'antimafia di Napoli sui fratelli Orsi (imprenditori passati dal centrodestra al centrosinistra) in questo momento il meccanismo criminogeno attraverso cui si fondono tre poteri: politico imprenditoriale e camorristico - è il sistema dei consorzi.
Il Consorzio privato-pubblico rappresenta il sistema ideale per aggirare tutti i meccanismi di controllo. Nella pratica è servito a creare situazioni di monopolio sulla scelta di imprenditori spesso erano vicino alla camorra. Gli imprenditori hanno ritenuto che la società pubblica avesse diritto a fare la raccolta rifiuti in tutti i comuni della realtà consorziale, di diritto. Questo ha avuto come effetto pratico di avere situazioni di monopolio e di guadagno enorme che in passato non esistevano. Nel caso dell'inchiesta di Milite e Cantone accadde che il Consorzio acquistò per una cifra enorme e gonfiata (circa nove milioni di euro) attraverso fatturazioni false la società di raccolta ECO4. I privati tennero per se gli utili e scaricarono sul Consorzio le perdite. La politica ha tratto dal sistema dei consorzi 13.000 voti e 9 milioni di euro all'anno, mentre il fatturato dei clan è stato di 6 miliardi di euro in due anni.
Ma guadagnano cifre immense anche i proprietari delle discariche come dimostra il caso di Cipriano Chianese, un avvocato imprenditore di un paesino, Parete, il suo feudo. Aveva gestito per anni la Setri, società specializzata nel trasporto di rifiuti speciali dall'estero: da ogni parte d'Europa trasferiva rifiuti a Giugliano-Villaricca, trasporti irregolari senza aver mai avuto l'autorizzazione dalla Regione. Aveva però l'unica autorizzazione necessaria, quella della camorra.
Accusato dai pm antimafia Raffaele Marino, Alessandro Milita e Giuseppe Narducci di concorso esterno in associazione camorristica ed estorsione aggravata e continuata, è l'unico destinatario della misura cautelare firmata dal gip di Napoli. Al centro dell'inchiesta la gestione delle cave X e Z, discariche abusive di località Scafarea, a Giugliano, di proprietà della Resit ed acquisite dal Commissariato di governo durante l'emergenza rifiuti del 2003. Chianese - secondo le accuse - è uno di quegli imprenditori in grado di sfruttare l'emergenza e quindi riuscì con l'attività di smaltimento della sua Resit a fatturare al Commissariato straordinario un importo di oltre 35 milioni di euro, per il solo periodo compreso tra il 2001 e il 2003.
Gli impianti utilizzati da Chianese avrebbero dovuto essere chiusi e bonificati. Invece sono divenute miniere in tempo di emergenza. Grazie all'amicizia con alcuni esponenti del clan dei Casalesi, hanno raccontato i collaboratori di giustizia, Chianese aveva acquistato a prezzi stracciati terreni e fabbricati di valore, aveva ottenuto l'appoggio elettorale nelle politiche del 1994 (candidato nelle liste di Forza Italia, non fu eletto) e il nulla osta allo smaltimento dei rifiuti sul territorio del clan.
La Procura ha posto sotto sequestro preventivo i beni riconducibili all'avvocato-imprenditore di Parete: complessi turistici e discoteche a Formia e Gaeta oltre che di numerosi appartamenti tra Napoli e Caserta. L'emergenza di allora, la città colma di rifiuti, i cassonetti traboccanti, le proteste, i politici sotto elezione hanno trovato nella Resit con sede in località Tre Ponti, al confine tra Parete e Giugliano, la loro soluzione.
Sullo smaltimento dei rifiuti in Campania ci guadagnano le imprese del nord-est. Come ha dimostrato l'operazione Houdini del 2004, il costo di mercato per smaltire correttamente i rifiuti tossici imponeva prezzi che andavano dai 21 centesimi a 62 centesimi al chilo. I clan fornivano lo stesso servizio a 9 o 10 centesimi al chilo. I clan di camorra sono riusciti a garantire che 800 tonnellate di terre contaminate da idrocarburi, proprietà di un'azienda chimica, fossero trattate al prezzo di 25 centesimi al chilo, trasporto compreso. Un risparmio dell'80% sui prezzi ordinari.
Se i rifiuti illegali gestiti dai clan fossero accorpati diverrebbero una montagna di 14.600 metri con una base di tre ettari, sarebbe la più grande montagna esistente ma sulla terra. Persino alla Moby Prince, il traghetto che prese fuoco e che nessuno voleva smaltire, i clan non hanno detto di no.
Secondo Legambiente è stata smaltita nelle discariche del casertano, sezionata e lasciata marcire in campagne e discariche. In questo paese bisognerebbe far conoscere Biùtiful cauntri (scritto alla napoletana) un documentario di Esmeralda Calabria, Andrea D'Ambrosio e Peppe Ruggiero: vedere il veleno che da ogni angolo d'Italia è stato intombati a sud massacrando pecore e bufale e facendo uscire puzza di acido dal cuore delle pesche e delle mele annurche. Ma forse è in un altro paese che si conoscono i volti di chi ha avvelenato questa terra.
E' in un altro paese che i nomi dei responsabili si conoscono eppure ciò non basta a renderli colpevoli. E' in un altro paese che la maggiore forza economica è il crimine organizzato eppure l'ossessione dell'informazione resta la politica che riempie il dibattito quotidiano di intenzioni polemiche, mentre i clan che distruggono e costruiscono il paese lo fanno senza che ci sia un reale contrasto da parte dell'informazione, troppo episodica, troppo distratta sui meccanismi.
Non è affatto la camorra ad aver innescato quest'emergenza. La camorra non ha piacere in creare emergenze, la camorra non ne ha bisogno, i suoi interessi e guadagni sui rifiuti come su tutto il resto li fa sempre, li fa comunque, col sole e con la pioggia, con l'emergenza e con l'apparente normalità, quando segue meglio i propri interessi e nessuno si interessa del suo territorio, quando il resto del paese gli affida i propri veleni per un costo imbattibile e crede di potersene lavare le mani e dormire sonni tranquilli.
Quando si getta qualcosa nell'immondizia, lì nel secchio sotto il lavandino in cucina, o si chiude il sacchetto nero bisogna pensare che non si trasformerà in concime, in compost, in materia fetosa che ingozzerà topi e gabbiani ma si trasformerà direttamente in azioni societarie, capitali, squadre di calcio, palazzi, flussi finanziari, imprese, voti. E dall'emergenza non si vuole e non si po' uscire perché è uno dei momenti in cui si guadagna di più.
L'emergenza non è mai creata direttamente dai clan, ma il problema è che la politica degli ultimi anni non è riuscita a chiudere il ciclo dei rifiuti. Le discariche si esauriscono. Si è finto di non capire che fino a quando sarebbe finito tutto in discarica non si poteva non arrivare ad una situazione di saturazione. In discarica dovrebbe andare pochissimo, invece quando tutto viene smaltito lì, la discarica si intasa.
Ciò che rende tragico tutto questo è che non sono questi i giorni ad essere compromessi, non sono le strade che oggi solo colpite delle "sacchette" di spazzatura a subire danno. Sono le nuove generazioni ad essere danneggiate. Il futuro stesso è compromesso. Chi nasce neanche potrà più tentare di cambiare quello che chi li ha preceduti non è riuscito a fermare e a mutare. L'80 per cento delle malformazioni fetali in più rispetto alla media nazionale avvengono in queste terre martoriate.
Varrebbe la pena ricordare la lezione di Beowulf, l'eroe epico che strappa le braccia all'Orco che appestava la Danimarca: "il nemico più scaltro non è colui che ti porta via tutto, ma colui che lentamente ti abitua a non avere più nulla". Proprio così, abituarsi a non avere il diritto di vivere nella propria terra, di capire quello che sta accadendo, di decidere di se stessi. Abituarsi a non avere più nulla.
venerdì 4 gennaio 2008
LETTERA APERTA DELLA FAMIGLIA PATRICIELLO
Gli organi di informazione hanno riportato, negli ultimi giorni, alcune esternazioni politiche che costituiscono solo l'ultimo di una serie di attacchi personali ed alle aziende della famiglia Patriciello, nell'ambito di un chiaro e preordinato disegno strategico.
Per tali motivi, il Gruppo Aziendale Patriciello, dopo aver denunciato pubblicamente tentativi di turbativa politica finalizzati a screditarne il ruolo nel tessuto socio-economico del Molise, aveva preannunciato una conferenza stampa per il 2 gennaio, nell'intento di fornire una risposta ferma e decisa, anche per fare chiarezza nei confronti della collettività molisana.
L'Ufficio Legale del Gruppo ha poi suggerito di astenersi da tale proposito, nella certezza che il rispetto per eventuali iniziative giudiziarie in itinere debba prevalere.
Non pare superfluo rammentare, in questa sede, che il Gruppo delle imprese facenti capo alla famiglia Patriciello opera in Molise da oramai cinquant'anni e, attualmente, conta circa mille dipendenti diretti ed un indotto di altre duemila persone che meritano attenzione e giusta tutela affinché sia loro garantita la necessaria sicurezza nel futuro proprio e dei loro figli.
E' evidente, quindi, il valore economico e sociale che tali imprese rivestono nella realtà molisana di cui costituiscono, senz'altro, un patrimonio importante.
Fatta questa doverosa premessa e per venire più direttamente agli attacchi dei quali, da lungo tempo, in modo diretto od indiretto, palese od occulto, sono fatte segno, con inusitata maestria e continuità, le aziende del Gruppo, giova chiarire i termini di una vicenda dai tratti davvero sconcertanti.
Per le attività di ricostruzione post-terremoto in Molise, è stata gestita dai vertici istituzionali regionali una enormità di denaro pubblico, ammontante a molte centinaia di milioni di euro.
Ebbene, dei lavori appaltati con tale denaro, spesso mediante ricorso a procedure di urgenza (sebbene, poi, in alcuni casi, lavori dichiarati urgenti non sono ancora iniziati dopo tre anni dall'affidamento), neppure un solo lavoro è stato affidato alle imprese del Gruppo Patriciello che certo non hanno potenzialità tecnico-economiche inferiori alle altre imprese che sono state invece destinatarie di commesse.
Non è ancora chiaro quali siano stati i criteri ispiratori che hanno condotto a sacrificare i principi, anche di rilievo comunitario, di massima concorrenza, di trasparenza ed economicità dell'agire amministrativo, così come pure non sono immuni da rilievi i criteri attraverso i quali sono state individuate le imprese cui affidare commesse milionarie attraverso sommarie e non del tutto trasparenti procedure amministrative.
Siamo certi che solo per una pura casualità, la maggior parte delle imprese come sopra beneficiate da così ingenti commesse sono tutte politicamente vicine ad un ben determinato partito politico.
Anche con riferimento ad altri importanti lavori, le nostre imprese, pur avendo fatto legittima richiesta di concorrere alle procedure di affidamento, non hanno mai beneficiato, a differenza di tante altre, di una sola commessa di lavori, pure appaltati, quasi sempre, con procedure di somma urgenza da parte dell'ente regionale (vedi "alluvione", "frana covatta", "lavori sulla costa", "Molise acque", "strada statale 87", "fiume biferno", etc. etc.).
Ancora per citare un altro episodio di (stra)ordinario accanimento nei nostri confronti, ci piace ricordare la vicenda Sotea.
Recentemente siamo stati costretti, nostro malgrado, a cedere lo stabilimento Sotea, già facente capo al nostro Gruppo, poiché, nonostante le nostre legittime richieste, per ben tre anni siamo stati presi in giro dalla Regione Molise circa l'erogazione di un mutuo ai sensi della legge regionale 28/2003, a favore e per il rilancio della Sotea, per garantirne anche i livelli occupazionali; mutuo che giammai ci è stato concesso, nonostante ad altre aziende nelle stesse condizioni sia stato sollecitamente erogato. Il risultato è stato, come detto, la cessione dello stabilimento ad altra azienda di fuori Regione.
In altre parole, pare evidente che il Gruppo Patriciello sia stato tenuto il più lontano possibile anche dalla partecipazione, legittima e trasparente, alle iniziative economiche locali; partecipazione invece assicurata, con modalità certo non immuni da critiche, ad altre imprese.
Un doveroso accenno si impone, inoltre, per la parte qui di stretto interesse, alla oramai nota vicenda "piedi d'argilla".
Le valutazioni conclusive dell'A.G. hanno, come noto, evidenziato che i piedi d'argilla erano quelli del castello accusatorio ordito nei confronti della famiglia Patriciello che, pertanto, è inesorabilmente crollato.
Nel ricordare le archiviazione disposte, all'esito delle indagini, dalla stessa Autorità Giudiziaria, ci preme evidenziare come, per contro, altre indagini siano in corso nei confronti degli autori, anche occulti, di tale macchinazione accusatoria.
Quanto precede, evidenzia che la fiducia che avevamo riposto nella Magistratura molisana è stata ampiamente ripagata dalla correttezza e dalla scrupolosità che la stessa Magistratura ha avuto nell'esame obiettivo dei fatti.
In merito, da ultimo, alle recenti e pretestuose polemiche sul numero dei posti letto dell'IRCCS Neuromed, corre l'obbligo di chiarire che in sede di audizione della IV Commissione consiliare regionale, era stato precisato che l'Istituto rivendicava legittimamente solo il mantenimento del numero di posti letto già riconosciuti dalla stessa Regione e dal Ministero della Salute.
Ciò in quanto la Neuromed è un ente di rilevanza nazionale di alta specialità, equiparato al pubblico, che costituisce uno dei pochi centri di eccellenza del centro-sud Italia nel campo della ricerca biomedica ed ha un indice di attrazione di pazienti extraregionali pari a circa l'80%. E, peraltro, è proprio grazie a tale indice di attrazione extraregionale che la Regione Molise beneficia di un incremento della percentuale dei posti letto regionali.
Ebbene, nonostante una specifica e motivata diffida alla Commissione, finalizzata a rettificare errori ed omissioni dello stato di fatto, ad oggi esistente, delle strutture sanitarie molisane, non si è ancora giunti alla doverosa rettifica.
Come è facile arguire da questi esempi, fra i tanti che si potrebbero citare, la circostanza che un esponente della famiglia Patriciello sia anche un politico appartenente alla coalizione al governo della Regione, lungi dall'aver recato un qualsiasi (e, peraltro, mai richiesto né desiderato) vantaggio, ha invece finito per caratterizzarsi come un elemento di forte negatività per le attività imprenditoriali del Gruppo.
E' evidente il disegno strategico di danneggiare economicamente il Gruppo societario facente capo alla famiglia Patriciello per colpirla, conseguentemente, sul piano politico.
A tal proposito, e per concludere, riteniamo opportuno richiamare le Istituzioni ad effettuare scelte programmatiche senza farsi influenzare dalle dinamiche di un conflitto politico, rispetto al quale, le imprese facenti parte del Gruppo non intendono in alcun modo rimanere coinvolte.
Senza dimenticare, poi, che nella nostra Regione vi sono "imprenditori che fanno politica" e "politici che fanno gli imprenditori": Noi facciamo solo della buona ed onesta attività d'impresa, con abnegazione e spirito di sacrificio.
Tanto dovevamo, nel segno del rispetto verso i nostri familiari ed i collaboratori e lavoratori tutti del Gruppo.
Venafro (IS), 3 gennaio 2008
per il Gruppo Industriale Patriciello
Aniello Patriciello
Antonio Patriciello
Stefano Patriciello
Gaetano Patriciello
Nicandro Patriciello
Per tali motivi, il Gruppo Aziendale Patriciello, dopo aver denunciato pubblicamente tentativi di turbativa politica finalizzati a screditarne il ruolo nel tessuto socio-economico del Molise, aveva preannunciato una conferenza stampa per il 2 gennaio, nell'intento di fornire una risposta ferma e decisa, anche per fare chiarezza nei confronti della collettività molisana.
L'Ufficio Legale del Gruppo ha poi suggerito di astenersi da tale proposito, nella certezza che il rispetto per eventuali iniziative giudiziarie in itinere debba prevalere.
Non pare superfluo rammentare, in questa sede, che il Gruppo delle imprese facenti capo alla famiglia Patriciello opera in Molise da oramai cinquant'anni e, attualmente, conta circa mille dipendenti diretti ed un indotto di altre duemila persone che meritano attenzione e giusta tutela affinché sia loro garantita la necessaria sicurezza nel futuro proprio e dei loro figli.
E' evidente, quindi, il valore economico e sociale che tali imprese rivestono nella realtà molisana di cui costituiscono, senz'altro, un patrimonio importante.
Fatta questa doverosa premessa e per venire più direttamente agli attacchi dei quali, da lungo tempo, in modo diretto od indiretto, palese od occulto, sono fatte segno, con inusitata maestria e continuità, le aziende del Gruppo, giova chiarire i termini di una vicenda dai tratti davvero sconcertanti.
Per le attività di ricostruzione post-terremoto in Molise, è stata gestita dai vertici istituzionali regionali una enormità di denaro pubblico, ammontante a molte centinaia di milioni di euro.
Ebbene, dei lavori appaltati con tale denaro, spesso mediante ricorso a procedure di urgenza (sebbene, poi, in alcuni casi, lavori dichiarati urgenti non sono ancora iniziati dopo tre anni dall'affidamento), neppure un solo lavoro è stato affidato alle imprese del Gruppo Patriciello che certo non hanno potenzialità tecnico-economiche inferiori alle altre imprese che sono state invece destinatarie di commesse.
Non è ancora chiaro quali siano stati i criteri ispiratori che hanno condotto a sacrificare i principi, anche di rilievo comunitario, di massima concorrenza, di trasparenza ed economicità dell'agire amministrativo, così come pure non sono immuni da rilievi i criteri attraverso i quali sono state individuate le imprese cui affidare commesse milionarie attraverso sommarie e non del tutto trasparenti procedure amministrative.
Siamo certi che solo per una pura casualità, la maggior parte delle imprese come sopra beneficiate da così ingenti commesse sono tutte politicamente vicine ad un ben determinato partito politico.
Anche con riferimento ad altri importanti lavori, le nostre imprese, pur avendo fatto legittima richiesta di concorrere alle procedure di affidamento, non hanno mai beneficiato, a differenza di tante altre, di una sola commessa di lavori, pure appaltati, quasi sempre, con procedure di somma urgenza da parte dell'ente regionale (vedi "alluvione", "frana covatta", "lavori sulla costa", "Molise acque", "strada statale 87", "fiume biferno", etc. etc.).
Ancora per citare un altro episodio di (stra)ordinario accanimento nei nostri confronti, ci piace ricordare la vicenda Sotea.
Recentemente siamo stati costretti, nostro malgrado, a cedere lo stabilimento Sotea, già facente capo al nostro Gruppo, poiché, nonostante le nostre legittime richieste, per ben tre anni siamo stati presi in giro dalla Regione Molise circa l'erogazione di un mutuo ai sensi della legge regionale 28/2003, a favore e per il rilancio della Sotea, per garantirne anche i livelli occupazionali; mutuo che giammai ci è stato concesso, nonostante ad altre aziende nelle stesse condizioni sia stato sollecitamente erogato. Il risultato è stato, come detto, la cessione dello stabilimento ad altra azienda di fuori Regione.
In altre parole, pare evidente che il Gruppo Patriciello sia stato tenuto il più lontano possibile anche dalla partecipazione, legittima e trasparente, alle iniziative economiche locali; partecipazione invece assicurata, con modalità certo non immuni da critiche, ad altre imprese.
Un doveroso accenno si impone, inoltre, per la parte qui di stretto interesse, alla oramai nota vicenda "piedi d'argilla".
Le valutazioni conclusive dell'A.G. hanno, come noto, evidenziato che i piedi d'argilla erano quelli del castello accusatorio ordito nei confronti della famiglia Patriciello che, pertanto, è inesorabilmente crollato.
Nel ricordare le archiviazione disposte, all'esito delle indagini, dalla stessa Autorità Giudiziaria, ci preme evidenziare come, per contro, altre indagini siano in corso nei confronti degli autori, anche occulti, di tale macchinazione accusatoria.
Quanto precede, evidenzia che la fiducia che avevamo riposto nella Magistratura molisana è stata ampiamente ripagata dalla correttezza e dalla scrupolosità che la stessa Magistratura ha avuto nell'esame obiettivo dei fatti.
In merito, da ultimo, alle recenti e pretestuose polemiche sul numero dei posti letto dell'IRCCS Neuromed, corre l'obbligo di chiarire che in sede di audizione della IV Commissione consiliare regionale, era stato precisato che l'Istituto rivendicava legittimamente solo il mantenimento del numero di posti letto già riconosciuti dalla stessa Regione e dal Ministero della Salute.
Ciò in quanto la Neuromed è un ente di rilevanza nazionale di alta specialità, equiparato al pubblico, che costituisce uno dei pochi centri di eccellenza del centro-sud Italia nel campo della ricerca biomedica ed ha un indice di attrazione di pazienti extraregionali pari a circa l'80%. E, peraltro, è proprio grazie a tale indice di attrazione extraregionale che la Regione Molise beneficia di un incremento della percentuale dei posti letto regionali.
Ebbene, nonostante una specifica e motivata diffida alla Commissione, finalizzata a rettificare errori ed omissioni dello stato di fatto, ad oggi esistente, delle strutture sanitarie molisane, non si è ancora giunti alla doverosa rettifica.
Come è facile arguire da questi esempi, fra i tanti che si potrebbero citare, la circostanza che un esponente della famiglia Patriciello sia anche un politico appartenente alla coalizione al governo della Regione, lungi dall'aver recato un qualsiasi (e, peraltro, mai richiesto né desiderato) vantaggio, ha invece finito per caratterizzarsi come un elemento di forte negatività per le attività imprenditoriali del Gruppo.
E' evidente il disegno strategico di danneggiare economicamente il Gruppo societario facente capo alla famiglia Patriciello per colpirla, conseguentemente, sul piano politico.
A tal proposito, e per concludere, riteniamo opportuno richiamare le Istituzioni ad effettuare scelte programmatiche senza farsi influenzare dalle dinamiche di un conflitto politico, rispetto al quale, le imprese facenti parte del Gruppo non intendono in alcun modo rimanere coinvolte.
Senza dimenticare, poi, che nella nostra Regione vi sono "imprenditori che fanno politica" e "politici che fanno gli imprenditori": Noi facciamo solo della buona ed onesta attività d'impresa, con abnegazione e spirito di sacrificio.
Tanto dovevamo, nel segno del rispetto verso i nostri familiari ed i collaboratori e lavoratori tutti del Gruppo.
Venafro (IS), 3 gennaio 2008
per il Gruppo Industriale Patriciello
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