sabato 26 maggio 2007
GERMANIA: ATEI CHIEDONO FESTIVITA' LAICHE
da www.repubblica.it
Gli atei tedeschi si stanno mobilitando per chiedere la sostituzione di un terzo delle festivita' religiose -tra cui il lunedi' di Pentecoste, l'Ascensione o il Corpus Domini- con ricorrenze laiche, come una giornata dedicata a Charles Darwin. A dare grande rilievo alla proposta e' il settimanale 'Der Spiegel' che dedica la copertina e un servizio di tredici pagine a quella che definisce "la crociata dei nuovi atei". Le personalita' di riferimento sono di peso internazionale: il biologo inglese Richard Dawkins, il cui libro "God Delusion" e' rimasto per 30 settimane in cima alle classifiche negli Usa e in Gran Bretagna, il filosofo francese Michel Onfray e il matematico italiano Piergiorgio Odifreddi. In Germania e' stata creata la 'Fondazione Giordano Bruno' con un obiettivo: in considerazione del fatto che un terzo dei tedeschi si dice aconfessionale -percentuale analoga a quella dei cattolici e dei protestanti- si chiede che nelle commissioni etiche chiamate a discutere e a valutare i diversi aspetti della morale contemporanea, siano inclusi in modo paritetico alle due maggiori Chiese anche i rappresentanti degli atei tedeschi. In un'intervista al settimanale di Amburgo, Dawkins spiega: "Negli ultimi vent'anni la religione ha avuto gioco facile e i credenti hanno goduto di una posizione di privilegio. I vescovi sono stati trattati con grande rispetto e invitati a partecipare alle commissioni etiche. La novita' e' che adesso la gente comincia ad averne abbastanza, anche a causa del crescente ruolo assunto dall'Islam". Dawkins aggiunge: "In un mondo senza religioni non ci sarebbero stati i kamikaze islamici, l'11 settembre, le crociate, i roghi delle streghe, il conflitto israelo-palestinese, i massacri in Bosnia, la persecuzione degli ebrei in quanto assassini di Cristo e il conflitto nell'Irlanda del Nord".
mercoledì 23 maggio 2007
ANNI RUGGENTI 1920 - 1930
La Campobasso Felix raccontata da Giuseppe Tabasso
Edizioni Enne maggio 1999
In quegli anni, la città era piena di fermenti. Come scrive Venanzio Vigliardi nella premessa al suo libro Trent'anni sotto il Monforte, Editrice Lampo, 1982, Campobasso era "una città diversa da quella di oggi per tanti aspetti, ma molto interessante e ricca di umori e di umanità .
Del resto, il fatto stesso che per dar linfa alla cultura locale si andasse fuori a cercare artisti e che per rilanciare un teatro come punto di riferimento regionale si costituisse non certo in vista di trarne grandi profitti personali – una società, era un segnale che denotava spirito d'iniziativa, mentalità aperta e desiderosa di sprovincializzarsi tenendosi al passo coi tempi (a proprie spese).
Dunque in quella Campobasso felix sua città d'elezione, Lino Tabasso trovò un'accoglienza superiore ad ogni più rosea aspettativa, un clima di straordinaria apertura e una vera e propria fame di novità che gli permisero subito di entrare in contatto con chiunque avesse ambizioni (o velleità) artistiche o che sentivano semplicemente il bisogno di esprimersi in qualche modo.
Tanta accettazione e simpatia fu ricambiata dal giovane musicista facendo abbattere sul Capoluogo un'ondata di novità e una ventata di belle epoque, già n atto del resto in altre città della Penisola. Come ricorda Luciano Ramo nella citata Storia del varietà, "non c'è capoluogo o centro grosso o piccolo, che non abbia il suo Apollo, il suo Eden, il suo Kursaal o il suo Orfeo: si può anzi dire che i locali di provincia sono i preferiti dalla stragrande maggioranza degli artisti di café chantant".
Così Campobasso divenne musicalmente vivissima e, nel suo piccolo, una mèta "tentacolare" per tutti i molisani, prima costretti a sobbarcarsi a faticosi viaggi per Napoli o per Roma. Cominciarono ad arrivare in città complessi ed autori di grido, sia nel campo della lirica (citiamo per tutti Ermanno Wol fFerrari e il grande musicista e direttore d'orchestra larinese Adriano Lualdi che al Savoia diresse la sua Granceola), sia nel settore "Varietà" (operette, riviste e avanspettacoli) che in quello della prosa. Per il principale teatro cittadino (e molisano) passarono decine e decine di grandi compagnie e tutti i più popolari artisti dell'epoca, da Nicola Maldacea a Gennaro Pasquariello, da Odoardo Spadaro ad Armando Gil (autore ed interprete di Come pioveva, Quando di maggio, ecc.), da Raffaele Viviani, uno dei grandi del teatro napoletano (che vi recitò con la sorella Luisella) fino a Dina Galli, Emma Gramatica, Eisa Merlini, Angelo Musco, Nino Taranto, Lucy d'Albert, Umberto Melnati e Vittorio De Sica interprete di Mezza dozzina di rose scarlatte.
Va infatti ricordato che anche le più note compagnie musicali di giro non potevano permettersi il lusso finanzia rio di portarsi dietro dei complessi musicali, e dunque le loro tourneé toccavano solo i teatri che disponevano di proprie orchestre. Fu appunto questa la ragione che indusse il Consiglio di amministrazione del Modernissimo prima e del Sociale poi a dotarsene di una stabile, chiamando Lino Tabasso.
L'impegno di lavoro era molto intenso, poiché si trattava di adattarsi in tempi strettissimi ai repertori delle singole compagnie nel giro di poche ore, facendo fin dal mattino estenuanti prove che spesso si prolungavano fino a pochi minuti prima dall'alzata del sipario. Per essere all'altezza del compito era perciò indispensabile disporre di "orchestrali" (come si chiamavano allora i professori d'orchestra) ottimamente affiatati e flessibili ai vari generi di spettacolo, che andavano appunto dal repertorio classico a quello leggero, fino a quelli del nascente jazz che venivano allora chiamati "ritmi sincopati".
In questo senso Lino Tabasso lavorò su due direzioni, facendo venire da Napoli valenti primi violini (tra cui il M° Vincenzo Furia, che rimase vari anni a Campobasso prima di rientrare a Napoli) e attivando giovani talenti locali: vanno in questo contesto doverosamente ricordati (in ordine alfabetico) i nomi di Peppino Cincindella, Arcangelo Maglione, Gennarino Mastropietro, Ferdinando Oriunno, Alberto Pace, Edmondo Rossi, Erminio Sallustio, Felice Valente, ai quali vanno ovviamente aggiunti quelli di due gloriose famiglie di musicisti campobassani: gli Aurisano (padri e figli) e i mitici fratelli Izzo (Antonio, Giovanni, Pasquale e Pippo).
Sono "anni d'oro" per la vita musicale di Campobasso e, quindi, per l'intera regione: non va dimenticato infatti che a quel tempo, quando cioè il Molise aveva una sola provincia e non era autonomo dall'Abruzzo, il capoluogo svolgeva una funzione culturale (e politica) decisamente più "centripeta" di quanto non riesca a svolgere ora.
Intanto i "ruggenti" anni '20 volgono al termine, il progresso tecnologico incombe e nel dicembre del 1931 anche nel Molise viene praticamente decretata la morte di un'epoca per così dire "artigianale" e la nascita di un'era "tecnologica". Inizia il declino della musica dal vivo, scoppia il boom di quella riprodotta. Per la prima volta al Savoia viene proiettato un film sonoro: s'intitola La canzone dell'amore, un film musicale, come tutti quelli che segnarono l'avvio del genere (Il cantante di jazz e Il cantante pazzo, entrambi interpretati da AI Jolson, sono rispettivamente del 1927 e del 1928). È una novità sconvolgente, paragonabile alla nascita della televisione o di Internet. Ma fa delle "vittime", la prima delle quali è il vecchio cinema Molisano, detto "Pidocchietto".
Lino Tabasso ha poco più di 35 anni: il suo incarico a tempo pieno presso il Savoia viene fatalmente ridimensionato ed è ormai destinato ad esaurirsi. La sua carriera è di nuovo ad una svolta non facile. Qualcuno gli propone di tornarsene a Napoli, ma rifiuta: il Molise è ormai il suo terreno creativo. La città gli ha dato molto e in essa il suo duttile estro e il torrente della sua fecondità artistica ha trovato un alveo naturale dal cui corso egli non riesce ormai a staccarsi.
In tutta la regione fioriscono intanto "Piedigrotte", "Feste dell'uva" e "Popolaresche" che hanno il loro epilogo finale a Campobasso. Fin dal 1925, quando Tabasso era da poco ospite della città, la Ia edizione della "Piedigrotta molisana" gli aveva offerto l'occasione di debuttare in veste di compositore. Ma non fu un'operazione semplice. Per lui si era trattato di compiere una ricon versione dalla grande tradizione partenopea al folklore molisano: la sua prima composizione - E 'ffemmene ch' e' palle, versi di Vittorio De Gregorio- è un trait d'union fra l'illustre cultura musicale respirata a Napoli e la tradizione abruzzese-molisana: mutatis mutandis fu un'operazione analoga a quella compiuta nientemeno che da Gabriele D'Annunzio con Francesco Paolo Tosti, entrambi abruzzesi, con la canzone 'A Vucchella scritta appunto in dialetto napoletano, che era un po' la lingua della canzone italiana del tempo.
Insomma il sannita "caudino" Lino Tabasso diviene "pentro" dopo aver sciacquato i panni nel Golfo di Napoli.
Su questa "conversione" dalla grande tradizione musicale assorbita a Napoli a quella, certamente povera e rurale, del Molise, Giuseppe Tabasso ci fornisce un'indicazione di un certo interesse sotto il profilo tecnico: «Mio padre - racconta - si pose seriamente il problema del "trapianto" e del relativo cambiamento di stile analizzando in particolare anonimi motivi folk eseguiti col du' botte, cioè con quel classico strumento popolare che è l'organetto a bottoni, ascoltando il quale riflette sulla circostanza che con esso non fosse tecnicamente possibile suonare nella cosiddetta tonalità minore.
Questa tonalità - ottenibile diminuendo di appena mezzo tono un accordo di terza in tonalità maggiore (mi si perdoni la digressione didattica, superflua per i lettori pratici di pentagramma) - è quella - che, detto in soldoni, conferisce una percezione di malinconia ai brani musicali. È quella che, a ben guardare, "rompe" l'ingenuità, l'immediatezza, la mancanza di ambiguità e la semplicità di schemi della musica popolare: e difatti col gioioso ed esuberante du' botte è appunto tecnicamente impossibile suonare in tonalità minore. A questa fondamentale "scoperta" - che beninteso non comportava necessariamente l'abbandono della minore e un rigido ossequio alla maggiore - fu dunque improntata da allora tutta la vasta produzione musicale di mio padre. Mi piace aggiungere, per inciso, che egli era un vero e proprio specialista nelle "introduzioni", cioè in quelle poche battute iniziali che, nello schema classico delle canzoni di un tempo, servivano a preannunciare il "tema", un po' come le ouvertures nelle opere liriche.»
lunedì 21 maggio 2007
PERMESSI E PRESUNTE TANGENTI - LE DUE INCHIESTE SULLA TURBOGAS - COME SI ESPANDE UN BUCO NERO
Mentre la procura di Larino indaga sulla regolarità dell’iter che ha permesso alla centrale di atterrare a Termoli, i Pm di Campobasso hanno aperto un fascicolo sull’ipotesi di corruzione dei consiglieri regionali. Agli atti anche la testimonianza tardiva del tenente dei carabinieri Mennone: “Una fonte confidenziale mi disse che sul Consiglio regionale ci fu una pioggia di mazzette”.
di Daniela Fiorilli
da www.primonumero.it
21 maggio 2007
L’insediamento della Turbogas a Termoli: chi lo ha consentito, come è avvenuto, attraverso quali percorsi autorizzativi? Non una, ma addirittura due inchieste stanno cercando di ricostruire la storia della centrale a ciclo combinato atterrata nel Nucleo industriale Valle Biferno ormai tre anni or sono ed entrata in funzione nello scorso autunno. La vicenda deve avere più di un punto oscuro se è vero, come è vero, che sia la Procura di Larino sia quella di Campobasso hanno aperto già diversi mesi fa due distinti fascicoli d’inchiesta: la prima per verificare la regolarità e la legittimità della procedura tecnica dell’insediamento; l’altra con l’intento di scoprire se la società Sorgenia ha dovuto elargire mazzette per insediarsi in regione.
Le perizie tecniche, la valutazione di impatto ambientale, il rilascio dei permessi da parte degli organi locali, i pareri e le procedure amministrative: nel setaccio del pm capo del palazzo di giustizia frentano, Nicola Magrone, c’è tutto questo. S’indaga per capire, ad esempio, come mai dopo l’alluvione del 2003 che aveva rivelato i rischi e le debolezze della conca industriale bassomolisana - episodio che ha portato già a tre avvisi di garanzia per disastro colposo - si sia concesso ugualmente il nulla osta all’insediamento di una centrale dall’altissimo rischio ambientale senza ulteriori verifiche. «Fare un impianto di quella natura in quel contesto equivale a fondere due fattori di rischio. E’ un ragionamento semplice e lineare» aveva dichiarato Magrone già all’indomani della conclusione delle indagini sull’inondazione della valle provocata dallo straripamento della diga del Liscione, spingendo a riflettere sull’inferno di acqua, fuoco, gas e sostanze tossiche sprigionate dalle chimiche evocato dai periti che dal 1995 al 2002 studiarono la pratica della compatibilità ambientale.
Fatti e ipotesi con cui si intrecciano altri dubbi relativi alla salute dei cittadini. Ci si chiede ad esempio se e come siano stati valutati i fattori di rischio per i bassomolisani che, malgrado siano scesi in strada per protestare ripetutamente e per mesi, hanno dovuto digerire la decisione degli enti regionali e comunali. Su questi aspetti, sulle conseguenze sociali e ambientali della Turbogas si lavora a Larino e il procuratore Magrone, nonostante gli impegni di queste settimane - finale del processo per il crollo della scuola di San Giuliano e inchiesta “Black Hole 2” – sembra anche intenzionato a convocare prossimamente nel suo ufficio alcune “persone informate sui fatti”.
Contemporaneamente a Campobasso si cerca di capire se è vero che «ci fu una pioggia di tangenti sull’intero consiglio regionale del Molise» come raccontò il tenente dei carabinieri Pietro Mennone alla dottoressa Maria Perna (sostituto procuratore a Larino) all’indomani della prima ondata di arresti nell’ambito dell’inchiesta “Black Hole”, quella cioè del febbraio 2006 che portò in carcere la dottoressa Patrizia De Palma e altre dieci persone.
Il “caso” del tenente Mennone e delle sue sorprendenti rivelazioni è sintetizzato nell’ordinanza di custodia cautelare con cui il gip Veneziano lunedì 14 maggio ha fatto arrestare le nove persone sospettate di aver fatto parte di quel gruppo di agenti ed ex agenti infedeli che spiavano e boicottavano le indagini della Procura e dei carabinieri sulla malasanità.
Racconta infatti il gip Veneziano che nel febbraio 2006 il tenente – che era stato in servizio a Termoli fino al 2003 - contattò in modo informale la dottoressa Perna per annunciarle un rapporto in cui le avrebbe elencato notizie di fonte confidenziale di cui era venuto a conoscenza nel 2002 in merito a presunti episodi di corruzione che avrebbero visto coinvolti esponenti politici del Basso Molise. La dottoressa Perna parlò con il Procuratore Magrone di quella strana telefonata del tenente Mennone, e Magrone convocò qualche settimana dopo l’ufficiale nel suo studio per sentirlo come persona informata sui fatti. In quell’occasione Mennone (attualmente in servizio in Sardegna) disse che «una fonte confidenziale mi ha riferito che ci fu una pioggia di tangenti sull’intero Consiglio Regionale del Molise in relazione all’insediamento della centrale turbogas…».
Tuttavia il procuratore di Larino non fece seguire alcuna indagine a quella tardiva rivelazione per il semplice fatto che – come è spiegato nella stessa ordinanza del gip Veneziano - «su queste ipotesi risultano in corso indagini della procura di Campobasso».
Dunque, un racconto arrivato fuori tempo massimo quello del tenente Mennone, fatto quando ormai la Procura di Campobasso aveva già cominciato a lavorare sull’ipotesi di mazzette finite nelle tasche di molti politici molisani. Come del resto, sempre secondo Magrone, sono arrivate troppo tardi anche le altre “rivelazioni” dell’ufficiale, ugualmente riportate nell’ordinanza del gip Veneziano: «Intendo riferire» fece infatti mettere a verbale il tenente «di una probabile tangente ricevuta dal sindaco Di Giandomenico da parte della società non italiana Union Carbide, attualmente Unisil o Ge, e pertinente ai permessi concessi per l’insediamento della fabbrica in territorio di Termoli» . Sempre in quell’occasione Mennone disse che la sua fonte confidenziale gli rivelò che il movente dell’omicidio di Giuliana D’Ascenzo – moglie di Pasqualino Cianci – avvenuto a Montenero di Bisaccia nel marzo del 2002, poteva essere ricercato nelle vicende del Cesad, il centro di salute per la donna voluto da Patrizia De Palma e finanziato sia dalla Asl numero 4 all’epoca diretta da Mario Verrecchia, sia dal Comune di Termoli retto da Di Giandomenico. Un’ipotesi, quest’ultima, di cui si è già parlato durante il processo che ha condannato Pasqualino Cianci per l’omicidio della moglie. Tutte cose insomma già conosciute dai magistrati e riferite dal tenente con un ritardo sospetto, tanto che la Procura ha iscritto il tenente nel registro degli indagati. E del resto lo stesso Magrone ha definito la testimonianza di Mennone «caotica e raffazzonato».
martedì 15 maggio 2007
L'UDC DIFENDE LA SCELTA DI TRASFERIRE MUSCATELLI: INTERPELLANZA DI GIOVANARDI
da www.altromolise.it
Gli ultimi clamorosi arresti ordinati dal gip del tribunale di Larino, Veneziano, finiscono all'attenzione della politica nazionale. Prendono posizione i vertici nazionali dell'Udc che difendono l'operato di uno degli arrestati, dimostrando di conoscere bene le vicende che hanno riguardato i vertici molisani dell'Arma dei Carabinieri.
Infatti oggi Carlo Giovanardi, ex ministro nel governo Berlusconi e candidato alla segreteria nazionale dell'Udc al recente congesso, ha annunciato di aver presentato una interpellanza al ministro della difesa. "Nell'interpellanza - ha spiegato l'ex ministro - ho segnalato come con l'arresto del Colonnello Comandante Maurizio Coppola, sulla base delle denunce di un subalterno, asseritamente trasferito a scopo sanzionatorio, si siano di fatto sindacati trasferimenti interni all'Arma, creando un precedente attraverso il quale i Magistrati inquirenti non soltanto dirigono le indagini, avvalendosi della Polizia giudiziaria e delle Forze dell'ordine, ma addirittura ritengono di ingerirsi nella gestione del personale, propria delle singole Forze dell'Ordine."
Giovanardi ha aggiunto che "poichè sarebbe gravissimo l'arresto di un ufficiale comandante per decisioni di sua competenza chiedo se non risulti al Ministro della Difesa che le decisioni relative al trasferimento del Capitano Moscatelli fossero pienamente condivise dai suoi superiori e pienamente conformi alla prassi regolamentare dell'Arma''.
L'Udc già in passato si era segnalata in Parlamento per iniziative prese nei confronti dei vertici della Compagnia dei Carabinieri di Termoli, guidata dal capitano Fabio Muscatelli. Infatti quando iniziarono le indagini dell'inchiesta "Black hole", che poi portarono all'arresto, tra gli altri, della dottoressa Patrizia De Palma e, successivamente, di suo marito, l'allora sindaco e parlamentare dell'Udc, Remo Di Giandomenico, il capogruppo alla Camera del partito di Casini, Luca Volontè, insieme ad altri parlamentari centristi, presentò una interpellanza che puntava l'indice proprio contro la gestione della Compagnia di Termoli e del suo comandante. Remo Di Giandomenico, pesantemente coinvolto nell'inchiesta, riuscì, quando ancora era parlamentare, ad evitare l'arresto grazie al fatto che la giunta per le autorizzazioni della Camera negò l'autorizzazione chiesta dai magistrati frentani. Poi Di Giandomenico non è stato ricandidato né a sindaco né al Parlamento e, finito il mandato e perduta l'immunità, è finito ai domiciliari. I nuovi sviluppi dell'inchiesta di queste ore chiamano in causa persone molto vicine a Di Giandomenico, come il suo difensore di fiducia, Romanazzi, e l'ex comandante dei vigili urbani di Termoli, Sciarretta, entrambi arrestati. Ma, nonostante le disavventure giudiziarie che vedono Di Giandomenico ancora indagato nel filone principale di "Black hole", l'Udc proprio di recente lo ha "ripescato" eleggendolo negli organismi nazionali del partito. Di Giandomenico, nella geografia interna dell'Udc, si è collocato tra gli "amici" di Giovanardi sostenendolo nella sua corsa fallita alla segreteria. Giovanardi, oggi, annuncia di aver presentato una interpellanza con una grande tempestività e dimostrando di essere davvero molto ben informato su questa vicenda.
Gli altri partiti del centrodestra, invece, tacciono. Tace Alleanza Nazionale. Tace Forza Italia che invita tutti al silenzio. Intanto il centrosinistra prepara la controffensiva. Annunciate interrogazioni parlamentari e richieste di ispezioni negli uffici giudiziari molisani.
lunedì 14 maggio 2007
COSI' VOLEVANO FAR FUORI IL CAPITANO SCOMODO
La congiura contro Fabio Muscatelli, comandante della Compagnia di Termoli, motore dell’inchiesta Black Hole: per lui missioni di pace anche se non lo aveva chiesto e un trasferimento definitivo a Locri per impedirgli di continuare il suo lavoro. “Salvato” dal comandante regionale dell’Arma: “E’ uno dei miei uomini migliori”
da www.primonumero.it
del 14 maggio 2007
Odiato, minacciato, intralciato, diffamato, trasferito. Sono stati anni difficili, gli ultimi due, per Fabio Muscatelli, capitano dei carabinieri di Termoli e “motore” della indagini sulla malasanità che hanno portato in carcere personaggi eccellenti del Basso Molise. Anni difficili perché – si scopre oggi – anche all’interno dell’Arma e fra i suoi stessi colleghi c’era chi guardava con fastidio il suo lavoro prezioso e coraggioso. Quel fastidio si è trasformato in una sorta di congiura a cui hanno partecipato uomini in divisa, investigatori (o presunti tali) degli uffici di polizia giudiziaria di Larino, potenti ed ex potenti di turno. Obiettivo: “far fuori” quel capitano scomodo, levarselo di torno, intralciare le sue indagini, fare le soffiate giuste agli indagati affinché il suo lavoro alla fine risultasse inoffensivo. Ora, l’indagine di Larino che ha portato all’arresto di nove persone, compreso il comandante provinciale dell’Arma, ha svelato i termini di quella congiura.
Già un anno fa si era saputo che Muscatelli era nel mirino di persone che non sopportavano il suo modo di indagare, la sua tenacia nel cercare prove anche quando quelle prove andavano a danneggiare “i signori” delle stanze dei bottoni. Se n’era occupata addirittura l’Antimafia di Campobasso, convinta che dietro i “viaggi di lavoro” a cui il Capitano di Termoli era stato costretto, dietro le incessanti richieste di un suo trasferimento in altre parti d’Italia, c’era la volontà di “impedirgli di nuocere”, cioè di indagare sui misfatti della vita pubblica bassomolisana.
Infatti proprio mentre Muscatelli – dopo essere intervenuto al San Timoteo in seguito a una rissa che vide coinvolta Patrizia Di Palma, moglie di Remo Di Giandomenico, e allora primario del reparto di Ostetricia dell’ospedale – muoveva i primi passi nell’indagine che poi avrebbe preso il nome di “Black Hole”, arrivarono le prime missioni all’estero: trasferimenti di prestigio a tempo determinato, prima in Kosovo poi in Iraq, che tuttavia il capitano accolse a malincuore dal momento che quelle missioni gli impedivano di portare avanti il suo lavoro. Anche perché, per ragioni mai spiegate, i suoi viaggi in quel teatro di guerra duravano sempre più del previsto, e più di quelle dei suoi colleghi ugualmente impegnati in Medio Oriente.
“…era stato mandato perché si pensava che non desse fastidio, è invece ha procurato problemi anche a Ugo Sciarretta, perché lo pedinava” ebbe modo di dire di lui la dottoressa De Palma durante uno dei suoi coloriti colloqui intercettati. E in quelle stesse conversazioni raccontò che suo marito – all’epoca sindaco di Termoli e parlamentare dell’Udc – aveva presentato una interrogazione alla Camera segnalando una presunta crescita di reati sulla costa molisana dovuta alla “negligenza” dei carabinieri proprio come ritorsione per il fatto che «…questo (Muscatelli, ndr.) era andato in Kosovo per una missione di pace ed è ritornato qui in vacanza per fare questo blitz senza consultarsi con niente e con nessuno».
Quando anche le “missioni di pace” persero il loro effetto, cioè quando il Capitano dimostrò di saper continuare a fare il suo lavoro a Termoli malgrado gli ostacoli che gli erano stati posti sulla strada, la congiura cercò un’altra soluzione: quella del trasferimento definitivo. Un trasferimento ingiustificato, visto che Muscatelli era a Termoli da troppo poco tempo per motivare uno spostamento ad altra sede. Ma chi voleva levarselo di torno ci provò ugualmente, mettendo nero su bianco la decisione di mandarlo a Locri, in Calabria, nel cuore della zona controllata dalla ‘ndrangheta. Il trasferimento sarebbe andato in porto se il Comandante Generale della Regione Molise, Nino Boccia, venuto a sapere della cosa, bloccò tutto per non privarsi di quello che considerava e considera uno dei suoi uomini migliori.
Per il Capitano, dunque, una storia a lieto fine – almeno per ora – anche se probabilmente rimane l’amarezza di aver dovuto combattere con nemici interni, persone che come lui avevano vestito la divisa “giurando fedeltà” alla Nazione.
TALPE IN PROCURA
Il comandante provinciale dell’Arma Maurizio Coppola, i marescialli Pagano ed Esposto, l'ex comandante di Polizia Municipale Sciarretta e l'avvocato Ruggero Romanazzi, difensore di Remo Di Giandomenico, in manette insieme con altri carabinieri e agenti di polizia giudiziaria di Larino. Sono accusati di associazione a delinquere per aver cercato di occultare le prove dell’inchiesta sulla malasanità del Basso Molise. Il blitz, coordinato dal pm Magrone, scattato alle 3 di questa notte.
di Daniela Fiorilli
pubblicato sul sito
www.primonumero.it
il 14 maggio 2007
Le accuse sono pesantissime: avrebbero cercato di costituire un vero e proprio corpo separato all’interno della struttura giudiziaria di larino. Tentando di insabbiare alcune prove importanti collegate all’inchiesta Black Hole, che nel febbraio del 2006 decapitò i vertici della sanità bassomolisana. Sono diciassette gli indagati dell’inchiesta, coordinata dal procuratore capo di Larino Nicola Magrone. Di questi, nove sono stati arrestati all’alba di oggi – 14 maggio – nel corso di un blitz messo in campo fra Termoli, Larino e Campobasso. Nomi eccellenti quelli dei personaggi finiti in manette per reati che, a vario titolo, vanno dall'associazione a delinquere finalizzata alla corruzione in atti giudiziari, al favoreggiamento e all’intralcio alla giustizia fino alla truffa, al falso e alla sistematica rivelazione del segreto d'ufficio.
Su tutti spicca il nome di Maurizio Coppola, colonnello del carabinieri comandante provinciale in servizio a Campobasso dal 2005, con giurisdizione anche sulla Compagnia di Termoli. Ci sono altri carabinieri di Termoli: il maresciallo Raffaele Esposto che prestava servizio fino a qualche anno fa proprio nella Compagnia dell'Arma della cittadina adriatica e un secondo militare operativo nella caserma di via Martiri della Resistenza, Luigi Soccio. E ancora: c'è il comandante della sezione di polizia giudiziaria dei Carabinieri presso la procura di Larino, Giovanni Pagano, e tre agenti di polizia giudiziaria: Michele Tenaglia, Orlando Zara e Giancarlo Littera, ispettore capo della Polizia Giudiziaria di Larino.
In manette è finito anche Ugo Sciarretta, ex comandante della Polizia Municipale di Termoli, già arrestato il 14 marzo del 2006 con l’accusa di avere tradotto illegalmente e ingiustamente dietro le sbarre l’imprenditore Esterino Policella.
Infine c’è un avvocato, Ruggero Romanazzi, ex carabiniere, difensore dell’ex sindaco di Termoli e parlamentare Udc Remo Di Giandomenico proprio per l'inchiesta Black Hole, che ha visto il deputato finire in arresto qualche tempo dopo la moglie, ex primario di Ginecologia all'ospedale San Timoteo, personaggio principale, secondo gli inquirenti, negli abusi e nelle truffe legate alla sanità.
Le ordinanze sono state spiccate dal Gip del Tribunale di Larino sulla base di un fascicolo che racconta, in 350 pagine, una storia di complotti e tentativi di manomettere le prove raccolte durante l’inchiesta Black Hole. Secondo gli inquirenti coordinati dal dottor Magrone, che da molti mesi tengono d’occhio la situazione, gli indagati avrebbero messo in piedi una sorta di associazione con fini criminali per insabbiare le indagini collegate a Black Hole. “Talpe”, “infiltrati”, che avrebbero sperimentato i sistemi più illeciti pur di ottenere informazioni da utilizzare per i loro scopi. Avrebbero manomesso le telecamere interne della Procura di Larino per procurarsi intercettazioni ambientali e poter anticipare le mosse del procuratore. Non solo: sarebbero entrati nelle banche dati della giustizia per manomettere i dati dell’archivio digitale, e avrebbero in un’occasione tentato di forzare la porta di quell’ufficio chiuso a chiave in cui sono conservati tutti i documenti più delicati.
Nella tarda mattinata di oggi forze dell’ordine in divisa e in borghese sono entrate negli uffici di Polizia Giudiziaria, al quinto piano del Palazzo di giustizia di Larino, per sequestrare tre computer e due fascicoli di documenti. Materiale che potrebbe provare, al di là delle prove raccolte fino a questo momento, la connivenza degli indagati con un sistema di abusi e violazioni.
Intanto a Termoli e Campobasso sono in corso numerose perquisizioni presso le abtazioni degli indagati.
I NOMI DI TUTTI GLI ARRESTATI
Maurizio COPPOLA – Colonnello dei Carabinieri, comandante provinciale dell’Arma di Campobasso
Giancarlo LITTERA – ispettore della Polizia di Stato in servizio all’ufficio di polizia giudiziaria presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Larino
Giovanni Antonio PAGANO – luogotenente dei Carabinieri in servizio all’ufficio di polizia giudiziaria presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Larino
Michele TENAGLIA – sovrintendente della Polizia di Stato in servizio all’ufficio di polizia giudiziaria presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Larino
Orlando ZARA – assistente della Polizia di Stato, in servizio all’ufficio di polizia giudiziaria presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Larino
Ruggero ROMANAZZI – avvocato del Foro di Termoli Larino, difensore di Remo Di Giandomenico
Ugo SCIARRETTA – ex comandante dei Vigili Urbani di Termoli
Luigi SOCCIO – appuntato dei Carabinieri, in servizio alla Caserma di Termoli
Raffaele ESPOSTO – ex maresciallo dei Carabinieri in servizio alla Caserma di Termoli
NOI DELL'UNAC SIAMO QUI' - DUE CARABINIERI SCOMODI NEL MOLISE
Pressioni per trasferire due ufficiali dei carabinieri, clamorosa inchiesta
pubblicata il 4 luglio 2006 su LA RIVISTA DELL'ARMA - Unione Nazionale Arma Carabinieri
Qualcuno avrebbe fatto pressioni per ottenere il trasferimento di due ufficiali dei Carabinieri con l'obiettivo di condizionare due importanti inchieste giudiziarie: "Piedi d'argilla" e "Black hole". Per stabilire se davvero ci sono state queste pressioni la Procura Distrettuale Antimafia di Campobasso ha aperto un procedimento per il momento contro ignoti ed ha disposto l'acquisizione di una voluminosa documentazione. La notizia è stata data in anteprima nel Tg regionale della Rai molisana alle ore 19,30 di oggi. Nel servizio di apertura la Rai ha anche spiegato che gli uomini della Polizia si sarebbero presentati presso vari comandi dei carabinieri per acquisire documenti, fascicoli e altre "carte" utili alle indagini. Gli uomini della Squadra mobile di Campobasso si sarebbero presentati nelle sedi dei carabinieri di Campobasso, al comando regionale, di Isernia, al comando provinciale, e a Venafro, alla Compagnia. Inoltre i poliziotti avrebbero "visitato" anche la sede di Napoli e addirittura il comando generale dell'Arma a Roma. Una inchiesta clamorosa che potrebbe avere sviluppi addirittura esplosivi. Secondo le indiscrezioni raccolte dal Tg regionale della Rai, le indagini riguardano l'avvio delle procedure per trasferire in altre sedi il capitano Fabio Muscatelli, comandante della Compagnia dei Carabinieri di Termoli, e il tenente Antonio Bandelli, comandante della Compagnia dei Carabinieri di Venafro. Le pressioni sarebbero arrivate addirittura dall'alto. Secondo il servizio mandato in onda alle 19,30 dalla Rai potrebbero essere coinvolti in questa indagine alte cariche istituzionali, importanti funzionari dello Stato, editori e anche giornalisti. Per il momento non si conoscono ulteriori particolari di questa clamorosa inchiesta. Sicuramente si tratta di una patata bollente per il nuovo comandante generale dell'Arma, Gianfrancesco Siazzu, nominato l'altro giorno dal governo Prodi e che prende il posto del generale Luciano Gottardo. Il capitano Fabio Muscatelli aveva condotto le indagini nell'ambito dell'inchiesta "Black hole" che ha portato all'arresto dell'ex sindaco di Termoli ed all'epoca dei fatti deputato in carica dell'Udc Remo Di Giandomenico, della moglie Patrizia De Palma, del direttore generale della Asl di Termoli, Mario Verrecchia, dell'imprenditore Esterino Policella e di altri importanti personaggi, accusati di aver messo in piedi una organizzazione che gestiva appalti, assunzioni e promozioni all'interno della Asl termolese. Il tenente Bandelli ha invece condotto le indagini dell'inchiesta "Piedi d'argilla", coordinata dalla Procura distrettuale antimafia del Molise, relativa ai lavori della variante di Venafro e a rapporti che alcuni degli indagati avrebbero intrattenuto con esponenti di clan malavitosi calabresi. Nell'inchiesta è rimasto coinvolto Aldo Patriciello, leader regionale dell'Udc, all'epoca dei fatti vicepresidente della giunta regionale ed oggi europarlamentare dello stesso partito. Nell'ambito di quell'inchiesta i carabinieri arrestarono quattro persone, tra cui il fratello di Aldo Patriciello, l'imprenditore Gaetano. L'inchiesta partita in questi giorni dovrà stabilire se effettivamente qualcuno, facendo pressioni per ottenere il trasferimento dei due ufficiali dei carabinieri, avrebbe cercato di condizionare le due importanti inchieste. Tra l'altro durante l'attività di indagine per "Black hole" il capitano Muscatelli, senza averne fatto richiesta, fu mandato in missione in Iraq. Questa nuova indagine arriva a pochi giorni di distanza dal deposito, da parte dei periti del Gup, delle perizie sui plinti della variante di Venafro per i quali, secondo le accuse dell'inchiesta "Piedi d'argilla", sarebbe stato usato materiale scadente. Perizia che, secondo quanto pubblicato nelle scorse settimane dalla stampa regionale, confermerebbe le accuse della Procura Distrettuale Antimafia di Campobasso sulla qualità dei materiali usati che, tra le altre cose, inciderebbe in modo significativo sulla "durabilità" dell'opera.
domenica 13 maggio 2007
A SCUOLA DA CIRINO POMICINO
A proposito della visita di Daniela Santanchè nel Molise per supportare il sindaco di Isernia Melogli, è utile leggere questo articolo a firma di Gianni Barbacetto, pubblicato il 12 aprile 2005 sul settimanale IL DIARIO
Dopo la disfatta di Berlusconi alle regionali, sono iniziate le transumanze. Decine di politici si preparano a passare dal centrodestra al centrosinistra. O almeno ci fanno un pensierino, accettando il corteggiamento dei capibastone locali della Margherita e, da Roma, di un Francesco Rutelli che lancia segnali di porte aperte ai transfughi. L’operazione si sta svolgendo in tutta Italia, dalla Lombardia (ci sta pensando, tra gli altri, il forzista Roberto Caputo) alla Sicilia (qui il corteggiato è addirittura Raffaele Lombardo, Udc, legatissino a Totò Cuffaro). In Campania c’è chi segnala lo spostamento a sinistra delle truppe di Giuseppe Gargani e di Ortensio Zecchino, mentre in Molise Clemente Mastella apre le braccia per accogliere nientemeno che l’Udc Aldo Patriciello (vedi Diario del 28 novembre 2003).
In questo clima, sorride sornione chi si era già portato avanti: Paolo Cirino Pomicino innanzitutto, passato al centrosinistra ben prima della disfatta alle regionali. «’O ministro» dal 2003 fa l’europarlamentare eletto nell’Udeur di Mastella. Già Massimo D’Alema se n’era felicitato, dichiarando il 28 febbraio 2004: «Pomicino è un uomo libero che, dopo aver affiancato Berlusconi, è stato deluso dal centrodestra come milioni di italiani. In fondo, Pomicino fa parte di un fenomeno di massa: il distacco dalla destra, la sfiducia in Berlusconi. Perciò, non trovo un solo motivo per dispiacermi, né per imbarazzarmi».
La sua figura, oggi, diventa esemplare, un modello per tanti che si apprestano al cambio della casacca. Esemplare anche la sua storia recente, intensa e sconosciuta: non quella del ministro che sfonda i conti dello Stato, non quella del vicerè napoletano che governa gli appalti veleggiando abilmente tra imprenditori con tangente e gruppi amici della Camorra. No: Cirino Pomicino, espulso (momentaneamente) dai grandi giri e sottoposto a decine di processi, si ricicla come lobbista che ritesse rapporti e affari. Eccone un campionario, come emerge da quella miniera d’oro d’informazioni sulla politica e gli affari che sono le intercettazioni telefoniche ordinate dalla procura di Potenza nel corso delle indagini del pubblico ministero Henry John Woodcock. Niente di penalmente rilevante, per carità, ma uno spaccato molto istruttivo per capire chi è e come si muove l’antesignano di uno sport oggi molto di moda: il salto della quaglia.
1. Articoli in cambio di pubblicità. Nel 2002 Pomicino è attivissimo. Si occupa di pasta e autogrill, di video e sanità, progetta di comprare locali pubblici a Milano e assiste una cordata che vuol fare affari in costa Smeralda. La sua società romana, la Gulliver, fattura circa 400 mila euro all’anno. E poi c’è la politica: Pomicino interviene, media, chiede, mette in relazione. Anche quando Giuseppe Ciarrapico, imprenditore romano amico di Giulio Andreotti e proprietario del quotidiano locale del Molise, si lamenta con Pomicino perché il suo amico Aldo Patriciello, assessore in Molise, non gli sgancia un soldo di pubblicità: «Ricordi Alamo, quando il capo tribù suonava uno strumento che si chiamava degheie per comunicare che non si facevano prigionieri? Ecco, per il tuo amico Aldo io ho suonato il degheie», comunica Ciarrapico a Pomicino.
Pomicino chiama subito Patriciello per convincerlo a scucire un po’ di soldi (della Regione) all’amico Ciarra. Ma Patriciello non ci sta: «Sono quattro mesi che sono assessore [...] e non mi hanno nominato sui giornali, cioè mi cancellano proprio. Una vergogna. Io pure tengo la televisione, se lui rompe le palle gli scoppio il culo, non è che lascio correre. Io mi domando perché ce l’aggia fa a pubblicità. Poi alla fine va truvenno da me la pubblicità, io ce la voglio fa, ma voglio fa 5, 10 milioni […]. L’anno scorso 50 milioni di pubblicità. Paolo tu devi sapere, ma senza avere nessuna ricaduta, perché mi ha fatto mezzo articolo e basta […]. Mi hai capito, io l’anno scorso ho fatto 50 milioni di pubblicità per mezzo articolo, Paolo!».
Pomicino cerca la soluzione: «Devi dire: Peppino (Ciarrapico, nda), ognuno deve fare quello che deve fare, io ti faccio oggi un segnale di attenzione, l’anno scorso ti ho fatto 50 milioni e mi avete oscurato, quest’anno vi faccio un piccolo segnale. Se i tuoi giornali, i tuoi direttori fanno le persone per bene, io non ho difficoltà l’anno prossimo a fare quello che devo fare, ma chiamalo direttamente».
Non funziona. Il 16 maggio 2002 Ciarrapico, infuriato, richiama Pomicino e minaccia di rivelare quello che sa su Patriciello: «Per culo non mi ci prende! Lui si è messo totalmente contro di me per traverso su tutto il Molise! Io a me me sta bene pure! Io so tutto quello che fa, le delibere che prende, i 300 milioni, 200, i 100, i 50 [...] so tutto! [...]. Mi sono stato zitto soprattutto e solamente perché è amico tuo! Perché io dei 60, 70 milioni di Pomicino, me ne sbatto!».
2. Duecentomila euro a Santanchè. Daniela Santanchè e Pomicino sono molto amici. Lei lo chiama scherzosamente «il mio portaborse», mentre lui di lei dice «è la mia migliore allieva». Ecco come Pomicino riesce a ottenere 200 mila euro dalla Giunta molisana per una manifestazione a Milano intitolata «Convivio». Il 23 aprile 2002 Santanchè chiama Pomicino per chiedergli una raccomandazione presso il solito Patriciello: «Senti una cosa, ho mandato un progetto a Patriciello, Aldo, una cosa importante a Milano, Convivio. [...] Se caldeggi anche tu [...] va bene per tutti». Pomicino si dà da fare. Ma il 24 aprile 2002 l’assessore Patriciello gli dice che ci sono problemi di bilancio: allora l’ex ministro gli consiglia di ricorrere alla finanziaria della Regione, la Finmolise. Intanto Daniela non si dà pace: insiste, vuole quei soldi. Per averli, il 28 aprile 2002 sventola sul naso di Pomicino un incentivo: «Guarda che qui sono 50 a testa, eh!». E Pomicino risponde: «Eh, ma lo so bene, figlia cara, lo so, vabbe’, mo’ lo chiamo».
3. In clinica con gli amici. Nello stesso periodo in cui Patriciello, assessore e imprenditore, sgancia i 200 mila euro alla società sponsorizzata da Santanchè, il gruppo sanitario dell’assessore (Neuromed) entra in affari con il marito di Santanchè, Canio Mazzaro, titolare della Pierrel. A smistare questo traffico di interessi pubblici e privati è sempre Pomicino. Lo dimostra una telefonata del 5 febbraio 2002. Mazzaro è preoccupato per gli affari con Patriciello: «Non so se ha liquidità». Ma Pomicino lo rassicura: «Tieni presente che poi Aldo [...] domani sera siamo a cena da Daniela perché dobbiamo parlare di marketing territoriale che deve fare la Regione. Dove Daniela può svolgere una funzione importante». Chiaro?
Pomicino cerca di unire le forze di Mazzaro e Patriciello con quelle del gruppo della sanità milanese Humanitas. Vagheggia un centro di riabilitazione per il Lazio e la Campania con sede in Molise, a spese delle Regioni, che magari compri le protesi proprio dalla Ortopedica Rizzoli dell’amico Mazzaro. Pomicino spiega il gioco a Patriciello: «Perché su questo versante era anche interessato Canio Mazzaro, perché naturalmente loro hanno il problema della produzione delle protesi e quindi un grande centro di riabilitazione, ma di eccellenza però, da offrire un grande servizio alla gente. Embe’ può essere una cosa importante». Importante, anche per le cifre mosse.
4. Mani in pasta. Un altro personaggio che si dà molto da fare attorno a Pomicino è l’imprenditore napoletano Mario Maione. Questi chiede aiuto e assistenza a Pomicino per un affare. Pomicino esegue. E incassa. Il 4 marzo 2002 l’onorevole ordina alla sua segretaria di fare una fattura di 100 milioni di lire più Iva alla Gm service Srl di Napoli, del gruppo Maione, per «assistenza acquisizione cantieri Baia».
Ma l’ex ministro s’impegna anche, chiamando in campo il solito Patriciello, a far passare a Maione il pastificio La Molisana, battendo la concorrenza della Colussi, che stava già trattando l’affare. Pomicino al telefono assicura Maione che Patriciello è amico del procuratore che tratta l’affare. Di fatti, La Molisana viene ceduta proprio a Maione.
5. Autogrill per la testa. Pomicino va all’assalto della gestione degli autogrill, chiedendo aiuto all’amministratore delegato di Autostrade, Vito Gamberale. La sera del 16 gennaio 2002 confida a un amico al telefono: «Viene alle sette e mezzo Gamberale. Volevo chiederti che cosa io posso chiedere [...] non so se loro hanno dismissioni [...], ma io vorrei un po’ sperimentare più a lungo e in maniera pesante Vito pecché se nò u mann’ a fanculo e buonanotte, allora non so oh il discorso. [...] La società Autostrade potrebbe dare in gestione qualche Autogrill per esempio? [...] Gli pongo il problema di dire: Vito, io ho bisogno un attimo di lavorare, punto!».
L’amico cerca di convincerlo a chiedere a Gamberale qualcosa di meno impegnativo, magari una collaborazione giornalistica alle riviste aziendali. Ma Pomicino quasi si offende: «Sì, ma la rivista, eh insomma, io fare sempre solo il lavoro [...] di giornalista insomma diventa ’na cosa […] diventa complicato, poi oltretutto il [...] lavoro dell’editorialista uh uh non può fare gli ufficiali lui milione [...], tre milioni». Due mesi dopo, il 13 marzo 2002, Pomicino continua a parlare di autogrill al telefonino con l’ex presidente dell’Inter Ernesto Pellegrini. Pomicino ha in mano le carte relative alle aree di servizio più appetibili: Masseria Est, Sangro Ovest, Teano Est: «Questo lotto ha un fatturato di 100 miliardi di lire», dice Pomicino a Pellegrini mentre gli propone una società con il signor Santanchè, Canio Mazzaro, per acquisirne la gestione. Pellegrini si dice interessato e fissa un appuntamento con entrambi a Roma.
6. Pomicino si dà al cinema. Pomicino riesce a spillare 100 milioni di lire anche alla Ilte, la società di Torino che stampa gli elenchi telefonici per Telecom Italia: per un «video istituzionale» realizzato da una società dell’ex ministro. Pomicino ringrazia l’uomo della Ilte che gli ha passato il business, un certo Luigi, e poi cerca di farsi scontare la fattura dalla Banca di Roma. Ma il direttore della sua agenzia nicchia e allora lui, per sbloccare la pratica, chiama la segreteria del presidente della Banca di Roma, Cesare Geronzi. Dalle intercettazioni telefoniche non è dato capire come finisca la storia.
7. Fa’ lavorare il bancarottiere! I vecchi amici non si dimenticano. Così Pomicino dà una mano a Franco Ambrosio, re del grano, in passato arrestato e imputato di bancarotta. Già nel 1999 Pomicino fu intercettato mentre cercava di salvarlo dal fallimento con l’aiuto del braccio destro di D’Alema allora insediato a Palazzo Chigi, Claudio Velardi. Non ci riuscì: Ambrosio fallì e i suoi due figli furono condannati per bancarotta.
Ma mai perdersi d’animo. Il 4 febbraio 2002 Pomicino chiama Canio Mazzaro e gli propone un affare a tre: «Tu ci staresti a fare una società con Mario Maione per una cosa che dovrebbe fare uno dei rampolli di Ambrosio […] loro hanno bisogno di una cosa di questo genere, perché i due ragazzi [...] in primo grado gli è stato interdetto di essere amministratori di società e di essere imprenditori». Il 23 aprile 2002 Mazzaro chiama Pomicino e gli comunica che incontrerà Ambrosio e Maione per mettere a punto il business plan.
8. Ligresti in prima fila. Anche Salvatore Ligresti si rivolge a Pomicino, quando ha bisogno di qualche favore: a Milano è entrato nella proprietà del Corriere, ma a Roma ha ancora bisogno di aiuti. Se deve concludere un affare con una banca, è a Pomicino che chiede consiglio. Se ha bisogno di una raccomandazione con il governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, è all’amico Pomicino che fa ricorso. Ligresti lo chiama anche alla vigilia della relazione annuale di Bankitalia del 2002: «Il governatore [...] m’ha detto c’è la cosa della Banca d’Italia. Tu diglielo di invitarmi [...] informalmente, ma in prima fila, in seconda. Glielo dici e così magari sarà un’occasione che lo saluto».
Il 23 maggio Ligresti richiama Pomicino: «È arrivato l’invito della Banca d’Italia. A me il tagliandino rosso, a mia figlia il tagliandino blu! [...] Adesso gli uffici hanno chiamato per dire dov’è il blu e dov’è il rosso. E gli hanno detto il rosso, quello dell’ingegnere, è nella sala e l’altro, blu, nella saletta con il televisore, quello della figlia. [...] Ma non è possibile, anche la figlia è presidente della Sai. Eh, la signorina ha detto no, dice, è stato un errore per l’ingegnere [...], anche lui nella blu! Allora gli ha detto: ma l’ingegnere nella blu non ci va! Né lui, né sua figlia!». Figurarsi: Salvatore e Ionella Ligresti confinati nella saletta del televisore: davvero un affronto. A quel punto Pomicino insorge e promette di intervenire: «Fammi parlare un momento a me».
Finite le intercettazioni telefoniche, è finita la possibilità di sapere come sono andate a finire tutte queste storie. Ma Pomicino sembra soddisfatto. Per lui e per tanti come lui, del resto, sta per aprirsi una nuova fase. •
sabato 12 maggio 2007
12 MAGGIO '77 - 12 MAGGIO 2007: PER GIORGIANA MASI NESSUNA GIUSTIZIA
Il 12 maggio 1977, nell'anniversario della vittoria referendaria sul divorzio, i radicali decidono di tenere un sit-in in piazza Navona, nonostante l'assoluto divieto di manifestare in vigore a Roma dopo la morte, il 21 aprile, dell'agente Passamonti nel corso di scontri di piazza. Il movimento e i gruppi della nuova sinistra aderiscono all'iniziativa, per protestare contro il restringimento degli spazi di agibilità politica e il pesante clima repressivo, favorito dall'appoggio esterno del PCI al cosiddetto "governo delle astensioni", il monocolore democristiano guidato da Andreotti. Per far rispettare, a qualsiasi costo, il divieto, il Ministro dell'Interno Francesco Cossiga schiera migliaia di poliziotti e carabinieri in assetto di guerra, affiancati da agenti in borghese delle squadre speciali, in alcuni casi travestiti da "autonomi". Fin dal primo pomeriggio la tensione è molto alta. A quanti difendono il diritto di manifestare con brevi cortei e fortunose barricate, le forze di polizia rispondono sparando candelotti lacrimogeni e colpi di arma da fuoco. Anche numerosi fotografi, giornalisti, passanti e il deputato Mimmo Pinto sono picchiati e maltrattati. Con il passare delle ore la resistenza della piazza si fa più decisa, e vengono lanciate le prime molotov. Mentre nelle strade sono in corso gli scontri, i parlamentari radicali protestano alla Camera contro le aggressioni e le violenze della polizia, fra gli insulti di quasi tutte le forze politiche. Mancano pochi minuti alle 20 quando, durante una carica, due ragazze sono raggiunte da proiettili sparati da Ponte Garibaldi, dove erano attestati poliziotti e carabinieri. Elena Ascione rimane ferita a una gamba. Giorgiana Masi, 19 anni, studentessa del liceo Pasteur, viene centrata alla schiena. Muore durante il trasporto in ospedale.
Le chiare responsabilità emerse a carico di polizia, questore, Ministro dell'Interno, porteranno il governo a intessere una fitta trama di omertà e menzogne. Cossiga, dopo aver elogiato il 13 maggio in Parlamento "il grande senso di prudenza e moderazione" delle forze dell'ordine, modificherà più volte la propria versione dei fatti. Costretto dall'evidenza ad ammettere la presenza delle squadre speciali - tra gli uomini in borghese armati furono riconosciuti il commissario Gianni Carnevale e l'agente della squadra mobile Giovanni Santone - continuerà però a negare che la polizia abbia sparato, pur se smentito da vari testimoni e dalle inequivocabili immagini di foto e filmati. L'inchiesta per l'omicidio si concluse nel 1981 con una sentenza di archiviazione del giudice istruttore Claudio D'Angelo "per essere rimasti ignoti i responsabili del reato". Successive indagini hanno tentato, senza risultati significativi, di individuare gli autori dello sparo mortale in un "autonomo" deceduto da tempo, oppure nel latitante Andrea Ghira, uno dei tre fascisti condannati per il massacro del Circeo.
domenica 6 maggio 2007
UNA MANO DI POKER
UNA MANO DI POKER
"Apro di duecento lire"!
"Vedo e rilancio di seicento!..."
"Ma chella fess'a e'mammete!" "Passo!"
Leste correvano le ore nei pomeriggi dell'estate del 1981. I tredici anni erano sinonimo di pruderie e, nel viso spuntavano brufoli grandi come more, spesso dovuti alle morbide grazie di Annamaria Rizzoli ed Edwige Fenech, monitorate, ogni giorno, in bagno, sulle pagine di Lancio Story e Skorpio. Il passatempo di quell'anno era il gioco del poker con i fumetti come posta, nascosti nei giganteschi sotterranei incustoditi del palazzo di Via Trotta oppure negli scantinati di Via Einaudi. Un poker volgare fatto spesso di telesine assurde copiate dai grandi, di prezzi di fumetti manipolati con le lettere adesive, di sudore e insulti volgari sulle madri, sorelle e persino nonne: come i veri duri del West, peggio dei veri duri del West. Le Mecap poi, d'estate, emanavano olezzi non proprio salubri all'interno delle soffitte prese in prestito ad ore, senza finestre ma con piccoli abbaini spesso bloccati per paura che i topi facessero razzia di provviste. Gli indiani nei fumetti di Sergio Bonelli erano finalmente diventati buoni e saggi dopo decenni di assurdo razzismo. La società italiana era silente dopo tensioni sociali forti che avevano lasciato parecchi morti sulla propria strada. Nel frattempo erano arrivati in Italia anche gli esuli argentini e cileni, ottimi disegnatori e soggettisti, che avevano ravvivato la scena del fumetto italiano in crisi dopo il boom dei super eroi americani della Marvel. I giapponesi sarebbero arrivati molto più tardi. Ed intanto era già stato tutto definito. Come in una mano truccata di poker, appunto. Giocatori di poker con i calzoncini corti, tentavano di immaginare cosa sarebbero diventati nel duemila, sparandosi dapprima in bocca quelle assurde polverine effervescenti all'arancia per poi, dopo pochi anni, spararsi altre polverine nelle vene delle braccia, dei piedi e del collo. L'ondata di fogna era arrivata nella fine degli anni '70. Aveva trascinato con se i fratellini dei contestatori. Un assurdo binomio che è stato un pesante macigno su parte di una intera generazione. Figli di operai e di professionisti, di impiegati e professori, colpiti inspiegabilmente dalla stessa "malattia". E la città non ha ascoltato. Non ha veduto. O si è girata dall'altra parte. Isola felice, si diceva. E qualcuno si ostina ancora oggi a pensarlo. Anche quando da troppi studi medici uscivano indiscriminatamente ricette per l'acquisto di psicofarmaci ed in città gli zombi erano arrivati senza nemmeno bussare alla porta e soprattutto senza la regia di Gorge Romero.
Una mano di poker lunga pochi anni, ma micidiale per una cittadina di provincia che non aveva sviluppato gli anticorpi necessari. Quei pomeriggi d'estate troppo soffocanti per giocare a pallone erano ideali, invece, per giocare a poker. Certe scale reali si materializzavano solo allora.
Oggi la città appare solcata dall'estrema dinamicità di quanto accade tutt'intorno ad essa. Le periferie sono nuovo centro, il centro è diventato periferia. In politica la sinistra perde inseguendo il centro, la destra ha abdicato in favore del partito della guerra permanente al diversa-mente. Ha vinto l'interesse personale e quello del proprio staff di avvocati.
Nel pianeta gli eroi dei fumetti di un tempo sono stati sostituiti dai banchieri, dai petrolieri e dai presidenti delle squadre di calcio che, come afferma Galeano, molto spesso, sono la stessa persona.
Intanto, se proprio ci tenete a saperlo, Tex Willer è morto insieme a Kit Carson cinque anni fa in missione in Cecenia, erano spie del Mossad. Il Comandante Mark vive sotto mentite spoglie a Cuba. L'Uomo Ragno si è ritirato in Vietnam. I Fantastici Quattro sono medici in Afghanistan ed aiutano Super Gino Strada. Il Piccolo Ranger alleva montoni in Libano dall'87. Tirammolla è diventato il massimo esponente di Scientology in Australia. Zio Paperone ha perso tutto nel disastro economico in Argentina. Paperino si è suicidato senza lasciare nessun biglietto. Il Commissario Basettoni ha combattuto dapprima in Bosnia con i musulmani poi si è arruolato con Al Quaeda. Il suo corpo è stato ritrovato tre giorni fa da un alpino ubriaco tra le montagne dell'Afghanistan.
"Treccappa!"
"Ma vafangul... teng’du'ass e du'ggecch!"
"Ma iate a fangule tutt'e du!"
Maurizio Oriunno
"Dio c'è, no ce fa"
Racconti e poesie
opera inedita
giovedì 3 maggio 2007
CHI MEGLIO PUO' OCCUPARSI DI GIUSTIZIA?
L'uomo che voleva impiccare Borrelli
e chiamò assassini i giudici
Chi meglio può occuparsi di Giustizia?
di Marco Travaglio
da www.altravoce.net
Il 24 novembre 1994 infuriano le polemiche per l'invito a comparire recapitato dal pool di Milano a Silvio Berlusconi per concorso nelle tangenti Fininvest alla Guardia di Finanza. Alle redazioni dei quotidiani giunge via fax una dichiarazione dell'onorevole forzista Gianpaolo Nuvoli, “membro della commissione Affari costituzionali”, su carta intestata Camera dei deputati. Testuale: «Debbo affermare che, qualora il procuratore Borrelli fosse condotto alla forca, io sarei in prima fila per assistere soddisfatto all'esecuzione».
La dichiarazione prosegue denunciando un complotto politico-giudiziario ai danni di Berlusconi: un «disegno destabilizzante» ordito dal presidente Scalfaro, da Borrelli, da Bossi e dalle opposizioni di sinistra. E, a proposito delle manifestazioni di piazza che Forza Italia sta organizzando in tutt'Italia a favore del premier inquisito, conclude: «È giusto sapere fin d'ora di chi sarebbe la responsabilità morale e politica di eventuali disordini che, ovviamente, scongiuro». Un redattore di Repubblica telefona all'onorevole Nuvoli per controllare che quelle parole siano davvero sue. Risposta di Nuvoli: «Confermo tutto, anche il riferimento alla forca. Quelle cose le ho scritte e le penso».
Che fine ha fatto l'uomo che voleva impiccare Borrelli? Il 27 aprile un comunicato del Guardasigilli Clemente Mastella ha annunciato la sua assunzione al ministero della Giustizia del governo Prodi: «Gianpaolo Nuvoli è stato nominato, su proposta del Guardasigilli, con decreto del presidente del Consiglio Ministri, direttore generale presso il Dipartimento degli Affari di Giustizia del ministero della Giustizia. Il ministro Mastella intende anche avvalersi della sua esperienza per tutte le problematiche relative alla Giustizia in Sardegna».
Per il curriculum completo del Nuvoli rimandiamo al sito www.altravoce.net del giornalista Giorgio Melis (il quale giura che Nuvoli volesse addirittura «vedere Borrelli impiccato a un lampione stradale»; e che poi fece staccare i ritratti del presidente Scalfaro da tutti gli uffici del suo Comune). In sintesi: nato ad Ardara (Sassari) 52 anni fa, laurea in giurisprudenza, democristiano e poi forzista, per trent'anni sindaco del suo paese, già consigliere regionale, eletto deputato con Forza Italia nel '94 e nel 2001, nel gennaio 2005 Nuvoli ha lasciato FI per trasvolare nell'Udeur, giusto in tempo per ritrovarsi nel 2006 dalla parte dei vincitori. Ma l'anno scorso non è stato rieletto.
Al ministero della Giustizia - informa una nota ripresa dalle agenzie - si occuperà del «contenzioso sui diritti umani in materia sia civile che penale, sulla responsabilità civile dei magistrati e sull'osservanza degli obblighi internazionali a proposito dei diritti dell'uomo». In quell'incarico sostituirà l'avvocato Sonia Viale, nominata dal ministro Roberto Castelli, e sarà il braccio destro di Augusta Iannini, moglie di Bruno Vespa, anche lei scelta da Castelli e confermata da Mastella a capo del dipartimento Affari di giustizia.
Oltre a invocare la forca per Borrelli, negli anni, Nuvoli ha fornito altri preziosi contributi alla Giustizia. Nell'agosto del 1998, per esempio, intestò la piazza principale di Ardara, di cui era sindaco, all'ex procuratore presso la Pretura di Cagliari, Luigi Lombardini, che si era suicidato un mese prima nel suo ufficio dopo un interrogatorio dinanzi a Gian Carlo Caselli e ad alcuni suoi sostituti perché coinvolto nel sequestro di Silvia Melis, di cui si occupava segretamente e abusivamente non avendo alcuna competenza in materia (lavorava in Pretura). E fece scrivere sulla targa commemorativa le seguenti parole: “Piazza Luigi Lombardini - eroico magistrato vittima del Regime”.
Nella relazione di proposta, fatta pubblicare dal Giornale di Berlusconi, esaltò «l'eroico comportamento del giudice Luigi Lombardini, ben al di là dei suoi doveri d'ufficio, a favore dei sardi e della Sardegna: rischiando la vita, ha determinato la liberazione di numerosi ostaggi di sequestratori di persona, assicurando, alla giustizia decine di pericolosissimi criminali responsabili di sequestri. Per questa sua meritoria e coraggiosa attività Lombardini è stato perseguito inopinatamente e con accanimento dalla Procura di Palermo. Ben cinque magistrati, guidati dal procuratore Caselli sono piombati a Cagliari, da Palermo, per torchiare per ben 6 ore il galantuomo e eroico Lombardini. Il risultato, purtroppo, è stato che Lombardini è morto, ammazzato da una pallottola partita da quell'accusa infamante di Caselli e dei suoi uomini di Palermo. Nessuno, finora, ha pagato, nè Caselli nè altri, anzi le istituzioni hanno applaudito Caselli e gettato ombre su Lombardini».
Per queste infamie Nuvoli è stato denunciato dai pm di Palermo additati come assassini e condannato in primo grado per averli diffamati. Ora potrà occuparsi di loro più da vicino, dalla suo nuovo ufficio in Via Arenula. Senza contare che, da antico fautore della forca, potrà fornire un valido apporto alla materia dei “diritti umani” a cui, tra l'altro, è stato delegato.
Qualche domanda, per concludere. Il ministro Mastella, peraltro alleato di Nuvoli nel '94 quando costui invocò il patibolo per Borrelli, ricordava i suoi precedenti al momento di nominarlo direttore generale del ministero? Perché, delle due, l'una: o il ministro sapeva, e allora vuol dire che condivide le battaglie di Nuvoli, o non le ritiene in contrasto col nuovo incarico; o non sapeva, e ora che lo sa ci farà sapere qualcosa.
Nell'attesa, qualche esponente del centrosinistra avrà forse qualcosa da dire, e magari da ridire, sulla compatibilità di questo signore con il concetto di Giustizia. In caso contrario, temiamo che qualcosa da dire, e da ridire, l'abbiano parecchi elettori.
martedì 1 maggio 2007
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