lunedì 14 maggio 2007
COSI' VOLEVANO FAR FUORI IL CAPITANO SCOMODO
La congiura contro Fabio Muscatelli, comandante della Compagnia di Termoli, motore dell’inchiesta Black Hole: per lui missioni di pace anche se non lo aveva chiesto e un trasferimento definitivo a Locri per impedirgli di continuare il suo lavoro. “Salvato” dal comandante regionale dell’Arma: “E’ uno dei miei uomini migliori”
da www.primonumero.it
del 14 maggio 2007
Odiato, minacciato, intralciato, diffamato, trasferito. Sono stati anni difficili, gli ultimi due, per Fabio Muscatelli, capitano dei carabinieri di Termoli e “motore” della indagini sulla malasanità che hanno portato in carcere personaggi eccellenti del Basso Molise. Anni difficili perché – si scopre oggi – anche all’interno dell’Arma e fra i suoi stessi colleghi c’era chi guardava con fastidio il suo lavoro prezioso e coraggioso. Quel fastidio si è trasformato in una sorta di congiura a cui hanno partecipato uomini in divisa, investigatori (o presunti tali) degli uffici di polizia giudiziaria di Larino, potenti ed ex potenti di turno. Obiettivo: “far fuori” quel capitano scomodo, levarselo di torno, intralciare le sue indagini, fare le soffiate giuste agli indagati affinché il suo lavoro alla fine risultasse inoffensivo. Ora, l’indagine di Larino che ha portato all’arresto di nove persone, compreso il comandante provinciale dell’Arma, ha svelato i termini di quella congiura.
Già un anno fa si era saputo che Muscatelli era nel mirino di persone che non sopportavano il suo modo di indagare, la sua tenacia nel cercare prove anche quando quelle prove andavano a danneggiare “i signori” delle stanze dei bottoni. Se n’era occupata addirittura l’Antimafia di Campobasso, convinta che dietro i “viaggi di lavoro” a cui il Capitano di Termoli era stato costretto, dietro le incessanti richieste di un suo trasferimento in altre parti d’Italia, c’era la volontà di “impedirgli di nuocere”, cioè di indagare sui misfatti della vita pubblica bassomolisana.
Infatti proprio mentre Muscatelli – dopo essere intervenuto al San Timoteo in seguito a una rissa che vide coinvolta Patrizia Di Palma, moglie di Remo Di Giandomenico, e allora primario del reparto di Ostetricia dell’ospedale – muoveva i primi passi nell’indagine che poi avrebbe preso il nome di “Black Hole”, arrivarono le prime missioni all’estero: trasferimenti di prestigio a tempo determinato, prima in Kosovo poi in Iraq, che tuttavia il capitano accolse a malincuore dal momento che quelle missioni gli impedivano di portare avanti il suo lavoro. Anche perché, per ragioni mai spiegate, i suoi viaggi in quel teatro di guerra duravano sempre più del previsto, e più di quelle dei suoi colleghi ugualmente impegnati in Medio Oriente.
“…era stato mandato perché si pensava che non desse fastidio, è invece ha procurato problemi anche a Ugo Sciarretta, perché lo pedinava” ebbe modo di dire di lui la dottoressa De Palma durante uno dei suoi coloriti colloqui intercettati. E in quelle stesse conversazioni raccontò che suo marito – all’epoca sindaco di Termoli e parlamentare dell’Udc – aveva presentato una interrogazione alla Camera segnalando una presunta crescita di reati sulla costa molisana dovuta alla “negligenza” dei carabinieri proprio come ritorsione per il fatto che «…questo (Muscatelli, ndr.) era andato in Kosovo per una missione di pace ed è ritornato qui in vacanza per fare questo blitz senza consultarsi con niente e con nessuno».
Quando anche le “missioni di pace” persero il loro effetto, cioè quando il Capitano dimostrò di saper continuare a fare il suo lavoro a Termoli malgrado gli ostacoli che gli erano stati posti sulla strada, la congiura cercò un’altra soluzione: quella del trasferimento definitivo. Un trasferimento ingiustificato, visto che Muscatelli era a Termoli da troppo poco tempo per motivare uno spostamento ad altra sede. Ma chi voleva levarselo di torno ci provò ugualmente, mettendo nero su bianco la decisione di mandarlo a Locri, in Calabria, nel cuore della zona controllata dalla ‘ndrangheta. Il trasferimento sarebbe andato in porto se il Comandante Generale della Regione Molise, Nino Boccia, venuto a sapere della cosa, bloccò tutto per non privarsi di quello che considerava e considera uno dei suoi uomini migliori.
Per il Capitano, dunque, una storia a lieto fine – almeno per ora – anche se probabilmente rimane l’amarezza di aver dovuto combattere con nemici interni, persone che come lui avevano vestito la divisa “giurando fedeltà” alla Nazione.
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