domenica 13 maggio 2007

A SCUOLA DA CIRINO POMICINO



A proposito della visita di Daniela Santanchè nel Molise per supportare il sindaco di Isernia Melogli, è utile leggere questo articolo a firma di Gianni Barbacetto, pubblicato il 12 aprile 2005 sul settimanale IL DIARIO

Dopo la disfatta di Berlusconi alle regionali, sono iniziate le transumanze. Decine di politici si preparano a passare dal centrodestra al centrosinistra. O almeno ci fanno un pensierino, accettando il corteggiamento dei capibastone locali della Margherita e, da Roma, di un Francesco Rutelli che lancia segnali di porte aperte ai transfughi. L’operazione si sta svolgendo in tutta Italia, dalla Lombardia (ci sta pensando, tra gli altri, il forzista Roberto Caputo) alla Sicilia (qui il corteggiato è addirittura Raffaele Lombardo, Udc, legatissino a Totò Cuffaro). In Campania c’è chi segnala lo spostamento a sinistra delle truppe di Giuseppe Gargani e di Ortensio Zecchino, mentre in Molise Clemente Mastella apre le braccia per accogliere nientemeno che l’Udc Aldo Patriciello (vedi Diario del 28 novembre 2003).
In questo clima, sorride sornione chi si era già portato avanti: Paolo Cirino Pomicino innanzitutto, passato al centrosinistra ben prima della disfatta alle regionali. «’O ministro» dal 2003 fa l’europarlamentare eletto nell’Udeur di Mastella. Già Massimo D’Alema se n’era felicitato, dichiarando il 28 febbraio 2004: «Pomicino è un uomo libero che, dopo aver affiancato Berlusconi, è stato deluso dal centrodestra come milioni di italiani. In fondo, Pomicino fa parte di un fenomeno di massa: il distacco dalla destra, la sfiducia in Berlusconi. Perciò, non trovo un solo motivo per dispiacermi, né per imbarazzarmi».
La sua figura, oggi, diventa esemplare, un modello per tanti che si apprestano al cambio della casacca. Esemplare anche la sua storia recente, intensa e sconosciuta: non quella del ministro che sfonda i conti dello Stato, non quella del vicerè napoletano che governa gli appalti veleggiando abilmente tra imprenditori con tangente e gruppi amici della Camorra. No: Cirino Pomicino, espulso (momentaneamente) dai grandi giri e sottoposto a decine di processi, si ricicla come lobbista che ritesse rapporti e affari. Eccone un campionario, come emerge da quella miniera d’oro d’informazioni sulla politica e gli affari che sono le intercettazioni telefoniche ordinate dalla procura di Potenza nel corso delle indagini del pubblico ministero Henry John Woodcock. Niente di penalmente rilevante, per carità, ma uno spaccato molto istruttivo per capire chi è e come si muove l’antesignano di uno sport oggi molto di moda: il salto della quaglia.

1. Articoli in cambio di pubblicità. Nel 2002 Pomicino è attivissimo. Si occupa di pasta e autogrill, di video e sanità, progetta di comprare locali pubblici a Milano e assiste una cordata che vuol fare affari in costa Smeralda. La sua società romana, la Gulliver, fattura circa 400 mila euro all’anno. E poi c’è la politica: Pomicino interviene, media, chiede, mette in relazione. Anche quando Giuseppe Ciarrapico, imprenditore romano amico di Giulio Andreotti e proprietario del quotidiano locale del Molise, si lamenta con Pomicino perché il suo amico Aldo Patriciello, assessore in Molise, non gli sgancia un soldo di pubblicità: «Ricordi Alamo, quando il capo tribù suonava uno strumento che si chiamava degheie per comunicare che non si facevano prigionieri? Ecco, per il tuo amico Aldo io ho suonato il degheie», comunica Ciarrapico a Pomicino.
Pomicino chiama subito Patriciello per convincerlo a scucire un po’ di soldi (della Regione) all’amico Ciarra. Ma Patriciello non ci sta: «Sono quattro mesi che sono assessore [...] e non mi hanno nominato sui giornali, cioè mi cancellano proprio. Una vergogna. Io pure tengo la televisione, se lui rompe le palle gli scoppio il culo, non è che lascio correre. Io mi domando perché ce l’aggia fa a pubblicità. Poi alla fine va truvenno da me la pubblicità, io ce la voglio fa, ma voglio fa 5, 10 milioni […]. L’anno scorso 50 milioni di pubblicità. Paolo tu devi sapere, ma senza avere nessuna ricaduta, perché mi ha fatto mezzo articolo e basta […]. Mi hai capito, io l’anno scorso ho fatto 50 milioni di pubblicità per mezzo articolo, Paolo!».
Pomicino cerca la soluzione: «Devi dire: Peppino (Ciarrapico, nda), ognuno deve fare quello che deve fare, io ti faccio oggi un segnale di attenzione, l’anno scorso ti ho fatto 50 milioni e mi avete oscurato, quest’anno vi faccio un piccolo segnale. Se i tuoi giornali, i tuoi direttori fanno le persone per bene, io non ho difficoltà l’anno prossimo a fare quello che devo fare, ma chiamalo direttamente».
Non funziona. Il 16 maggio 2002 Ciarrapico, infuriato, richiama Pomicino e minaccia di rivelare quello che sa su Patriciello: «Per culo non mi ci prende! Lui si è messo totalmente contro di me per traverso su tutto il Molise! Io a me me sta bene pure! Io so tutto quello che fa, le delibere che prende, i 300 milioni, 200, i 100, i 50 [...] so tutto! [...]. Mi sono stato zitto soprattutto e solamente perché è amico tuo! Perché io dei 60, 70 milioni di Pomicino, me ne sbatto!».

2. Duecentomila euro a Santanchè. Daniela Santanchè e Pomicino sono molto amici. Lei lo chiama scherzosamente «il mio portaborse», mentre lui di lei dice «è la mia migliore allieva». Ecco come Pomicino riesce a ottenere 200 mila euro dalla Giunta molisana per una manifestazione a Milano intitolata «Convivio». Il 23 aprile 2002 Santanchè chiama Pomicino per chiedergli una raccomandazione presso il solito Patriciello: «Senti una cosa, ho mandato un progetto a Patriciello, Aldo, una cosa importante a Milano, Convivio. [...] Se caldeggi anche tu [...] va bene per tutti». Pomicino si dà da fare. Ma il 24 aprile 2002 l’assessore Patriciello gli dice che ci sono problemi di bilancio: allora l’ex ministro gli consiglia di ricorrere alla finanziaria della Regione, la Finmolise. Intanto Daniela non si dà pace: insiste, vuole quei soldi. Per averli, il 28 aprile 2002 sventola sul naso di Pomicino un incentivo: «Guarda che qui sono 50 a testa, eh!». E Pomicino risponde: «Eh, ma lo so bene, figlia cara, lo so, vabbe’, mo’ lo chiamo».
3. In clinica con gli amici. Nello stesso periodo in cui Patriciello, assessore e imprenditore, sgancia i 200 mila euro alla società sponsorizzata da Santanchè, il gruppo sanitario dell’assessore (Neuromed) entra in affari con il marito di Santanchè, Canio Mazzaro, titolare della Pierrel. A smistare questo traffico di interessi pubblici e privati è sempre Pomicino. Lo dimostra una telefonata del 5 febbraio 2002. Mazzaro è preoccupato per gli affari con Patriciello: «Non so se ha liquidità». Ma Pomicino lo rassicura: «Tieni presente che poi Aldo [...] domani sera siamo a cena da Daniela perché dobbiamo parlare di marketing territoriale che deve fare la Regione. Dove Daniela può svolgere una funzione importante». Chiaro?
Pomicino cerca di unire le forze di Mazzaro e Patriciello con quelle del gruppo della sanità milanese Humanitas. Vagheggia un centro di riabilitazione per il Lazio e la Campania con sede in Molise, a spese delle Regioni, che magari compri le protesi proprio dalla Ortopedica Rizzoli dell’amico Mazzaro. Pomicino spiega il gioco a Patriciello: «Perché su questo versante era anche interessato Canio Mazzaro, perché naturalmente loro hanno il problema della produzione delle protesi e quindi un grande centro di riabilitazione, ma di eccellenza però, da offrire un grande servizio alla gente. Embe’ può essere una cosa importante». Importante, anche per le cifre mosse.

4. Mani in pasta. Un altro personaggio che si dà molto da fare attorno a Pomicino è l’imprenditore napoletano Mario Maione. Questi chiede aiuto e assistenza a Pomicino per un affare. Pomicino esegue. E incassa. Il 4 marzo 2002 l’onorevole ordina alla sua segretaria di fare una fattura di 100 milioni di lire più Iva alla Gm service Srl di Napoli, del gruppo Maione, per «assistenza acquisizione cantieri Baia».
Ma l’ex ministro s’impegna anche, chiamando in campo il solito Patriciello, a far passare a Maione il pastificio La Molisana, battendo la concorrenza della Colussi, che stava già trattando l’affare. Pomicino al telefono assicura Maione che Patriciello è amico del procuratore che tratta l’affare. Di fatti, La Molisana viene ceduta proprio a Maione.

5. Autogrill per la testa. Pomicino va all’assalto della gestione degli autogrill, chiedendo aiuto all’amministratore delegato di Autostrade, Vito Gamberale. La sera del 16 gennaio 2002 confida a un amico al telefono: «Viene alle sette e mezzo Gamberale. Volevo chiederti che cosa io posso chiedere [...] non so se loro hanno dismissioni [...], ma io vorrei un po’ sperimentare più a lungo e in maniera pesante Vito pecché se nò u mann’ a fanculo e buonanotte, allora non so oh il discorso. [...] La società Autostrade potrebbe dare in gestione qualche Autogrill per esempio? [...] Gli pongo il problema di dire: Vito, io ho bisogno un attimo di lavorare, punto!».
L’amico cerca di convincerlo a chiedere a Gamberale qualcosa di meno impegnativo, magari una collaborazione giornalistica alle riviste aziendali. Ma Pomicino quasi si offende: «Sì, ma la rivista, eh insomma, io fare sempre solo il lavoro [...] di giornalista insomma diventa ’na cosa […] diventa complicato, poi oltretutto il [...] lavoro dell’editorialista uh uh non può fare gli ufficiali lui milione [...], tre milioni». Due mesi dopo, il 13 marzo 2002, Pomicino continua a parlare di autogrill al telefonino con l’ex presidente dell’Inter Ernesto Pellegrini. Pomicino ha in mano le carte relative alle aree di servizio più appetibili: Masseria Est, Sangro Ovest, Teano Est: «Questo lotto ha un fatturato di 100 miliardi di lire», dice Pomicino a Pellegrini mentre gli propone una società con il signor Santanchè, Canio Mazzaro, per acquisirne la gestione. Pellegrini si dice interessato e fissa un appuntamento con entrambi a Roma.
6. Pomicino si dà al cinema. Pomicino riesce a spillare 100 milioni di lire anche alla Ilte, la società di Torino che stampa gli elenchi telefonici per Telecom Italia: per un «video istituzionale» realizzato da una società dell’ex ministro. Pomicino ringrazia l’uomo della Ilte che gli ha passato il business, un certo Luigi, e poi cerca di farsi scontare la fattura dalla Banca di Roma. Ma il direttore della sua agenzia nicchia e allora lui, per sbloccare la pratica, chiama la segreteria del presidente della Banca di Roma, Cesare Geronzi. Dalle intercettazioni telefoniche non è dato capire come finisca la storia.

7. Fa’ lavorare il bancarottiere! I vecchi amici non si dimenticano. Così Pomicino dà una mano a Franco Ambrosio, re del grano, in passato arrestato e imputato di bancarotta. Già nel 1999 Pomicino fu intercettato mentre cercava di salvarlo dal fallimento con l’aiuto del braccio destro di D’Alema allora insediato a Palazzo Chigi, Claudio Velardi. Non ci riuscì: Ambrosio fallì e i suoi due figli furono condannati per bancarotta.
Ma mai perdersi d’animo. Il 4 febbraio 2002 Pomicino chiama Canio Mazzaro e gli propone un affare a tre: «Tu ci staresti a fare una società con Mario Maione per una cosa che dovrebbe fare uno dei rampolli di Ambrosio […] loro hanno bisogno di una cosa di questo genere, perché i due ragazzi [...] in primo grado gli è stato interdetto di essere amministratori di società e di essere imprenditori». Il 23 aprile 2002 Mazzaro chiama Pomicino e gli comunica che incontrerà Ambrosio e Maione per mettere a punto il business plan.

8. Ligresti in prima fila. Anche Salvatore Ligresti si rivolge a Pomicino, quando ha bisogno di qualche favore: a Milano è entrato nella proprietà del Corriere, ma a Roma ha ancora bisogno di aiuti. Se deve concludere un affare con una banca, è a Pomicino che chiede consiglio. Se ha bisogno di una raccomandazione con il governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, è all’amico Pomicino che fa ricorso. Ligresti lo chiama anche alla vigilia della relazione annuale di Bankitalia del 2002: «Il governatore [...] m’ha detto c’è la cosa della Banca d’Italia. Tu diglielo di invitarmi [...] informalmente, ma in prima fila, in seconda. Glielo dici e così magari sarà un’occasione che lo saluto».
Il 23 maggio Ligresti richiama Pomicino: «È arrivato l’invito della Banca d’Italia. A me il tagliandino rosso, a mia figlia il tagliandino blu! [...] Adesso gli uffici hanno chiamato per dire dov’è il blu e dov’è il rosso. E gli hanno detto il rosso, quello dell’ingegnere, è nella sala e l’altro, blu, nella saletta con il televisore, quello della figlia. [...] Ma non è possibile, anche la figlia è presidente della Sai. Eh, la signorina ha detto no, dice, è stato un errore per l’ingegnere [...], anche lui nella blu! Allora gli ha detto: ma l’ingegnere nella blu non ci va! Né lui, né sua figlia!». Figurarsi: Salvatore e Ionella Ligresti confinati nella saletta del televisore: davvero un affronto. A quel punto Pomicino insorge e promette di intervenire: «Fammi parlare un momento a me».
Finite le intercettazioni telefoniche, è finita la possibilità di sapere come sono andate a finire tutte queste storie. Ma Pomicino sembra soddisfatto. Per lui e per tanti come lui, del resto, sta per aprirsi una nuova fase. •

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